Il senso di colpa nasce nei bambini già nei primi anni di vita
I bambini si sentono in colpa? Sono consapevoli che le loro azioni possono avere conseguenze negative sugli altri? A partire da che età sono in grado di riconoscere e capire quando hanno danneggiato qualcun altro? Trovare una risposta a questi interrogativi è importante perché la colpa come mediatore della coscienza morale svolge un ruolo importante nella comprensione delle regole morali ed etiche.
Secondo alcuni ricercatori è possibile notare segnali di colpa già in bambini di due anni, un’età in cui il minore inizia a cogliere le differenze tra sé e gli altri e a capire che anche le altre persone provano emozioni e sentimenti che possono essere influenzati dal proprio comportamento. La piena capacità del minore di cogliere le emozioni arriva dai tre anni in poi. Per provare senso di colpa il bambino deve avere consapevolezza della propria identità. Diversi ricercatori sostengono che il sentimento di colpa sia legato alla capacità del bambino di sperimentare empatia nei confronti degli altri. Il dispiacere empatico per il dolore percepito nell’altro si trasforma in senso di colpa nel momento in cui il minore si rende conto di essere la causa del disagio altrui.
Un’altra spiegazione alla base del senso di colpa è l’ansia di separazione o da esclusione. Si tratta della paura di perdere i legami affettivi importanti e del timore di essere allontanati dalle persone. Il bambino, ad esempio, è in grado già molto precocemente di far arrabbiare la mamma disubbidendole, tuttavia il disagio provocato dalla colpa gli consente di percepire la soglia che non deve essere oltrepassata, per non perdere le cure e l’affetto di cui ha bisogno (Di Blasio e Vitali, 2001).
Nel corso del tempo aumentano le situazioni in cui il bambino percepisce i sensi di colpa mostrando una sensibilità sempre più raffinata. Da piccolo si sente in colpa per aver detto una bugia, per aver preso un giocattolo al fratello, per aver fatto arrabbiare i genitori o per aver fatto male a un compagno. In futuro potrà sviluppare sensi di colpa qualora non riuscisse ad aiutare una persona sofferente o venisse meno ad un impegno preso o alla parola data.
La tendenza dei bambini a riparare ad un danno fatto viene favorita se i genitori ricorrono sistematicamente nell’educazione del figlio a spiegazioni di tipo affettivo, come: “Non è bello fare così” oppure a proibizioni seguite da spiegazioni empatiche: “Non vedi che Marco è ferito? Non spingerlo” o ancora ad affermazioni basate su regole precise: “Non si deve mai picchiare nessuno per non far soffrire le persone” e di ritiro affettivo: “Quando mi ferisci o fai del male agli altri, non ti voglio vicino”.
Tra le diverse categorie educative, il ricorso a regole precise e assolute è particolarmente efficace, in quanto crea una combinazione ideale di sentimenti di colpa empatica associati a modalità riparative. Un’altra pratica educativa molto comune consiste nell’indurre direttamente sensi di colpa attraverso frasi come: “Sei responsabile per aver fatto male a Luca”, “È colpa tua se hai preso un brutto voto, dovevi studiare di più”, “Hai rotto il giocattolo di tuo fratello, ora riparalo”. Tali attribuzioni hanno l’effetto di orientare il comportamento dei bambini verso il riconoscimento e l’acquisizione delle regole date.
In ambito educativo, nelle situazioni di violazione involontaria delle regole da parte del bambino, l’induzione del senso di colpa è una tecnica molto efficace. Mentre nel caso di disubbidienze intenzionali è particolarmente utile ricorrere a un controllo coercitivo, cioè richiedere al bambino di riparare al danno fatto attraverso sanzioni, punizioni o altro. All’interno di un modello educativo finalizzato a far comprendere l’effetto negativo di comportamenti dannosi per gli altri, un uso moderato di interventi coercitivi da parte dei genitori può contribuire a promuovere nel bambino un elevato livello di consapevolezza circa la gravità delle sue azioni.
In ogni caso, qualsiasi intervento utilizzato dai genitori deve essere inserito in un quadro di supporto psicologico e di disponibilità emotiva nei confronti del bambino. È fondamentale ricordare che l’efficacia dell’educazione dipende dalla coerenza e dalla concordanza delle azioni e delle regole messe in atto da entrambi i genitori (Di Blasio e Vitali, 2001). Ad ogni modo, le pratiche educative della famiglia d’origine andranno poi a confrontarsi e ad integrarsi con quelle che il bambino riceve dall’ambiente extrafamiliare (scuola, ambiente sportivo, ecc.).
Difatti, l’interiorizzazione di appropriate norme morali e sociali è il presupposto di una buona socializzazione. La coscienza morale è lo strumento che abbiamo per capire se ciò che facciamo è giusto o sbagliato e, attraverso il senso di colpa, ci comunica se uno standard etico culturalmente condiviso è stato violato. In una società come quella attuale dove il senso della famiglia va disgregandosi, il rispetto nei confronti del prossimo è labile, l’egoismo la fa da padrone, il sistema di valori è fragile e troppo frequentemente basato sul ritorno economico, è sempre più urgente che i giovani vadano incontro alla vita con un bagaglio educativo composto da elementi di fiducia, lealtà e rispetto verso l’altro.