Il buco dell'ozono si è ristretto, ma è davvero una buona notizia?

di Stefania Elena Carnemolla

Il buco dell’ozono si è ristretto: a novembre la notizia ha fatto il giro del mondo. Prima di capire perchè è accaduto e se davvero la ferita è guarita, un passo indietro per spiegare il fenomeno e, quindi, l’oggi.

L’ozono è un gas, con molecole composte da tre atomi di ossigeno, presente naturalmente nell’atmosfera. Circa il 10% si trova nella troposfera, vicino alla Terra, mentre il 90% nella stratosfera, fra la troposfera e la mesosfera. La concentrazione di ozono nella stratosfera è lo strato di ozono. Questo strato è importante perchè assorbe il 95% delle radiazioni ultraviolette UV-B della luce solare. Se non ci fosse l’ozono stratosferico a fare da scudo, queste radiazioni raggiungerebbero in toto la Terra, causando nell’uomo cancro, invecchiamento prematuro della pelle, cataratta, depressione del sistema immunitario e danneggiando altre forme di vita del pianeta come piante, animali, organismi monocellulari, ecosistemi acquatici. Grazie alla sua azione protettiva l’ozono stratosferico è, pertanto, chiamato ozono buono, a differenza di quello troposferico, l’ozono cattivo, coinvolto in reazioni con gas inquinanti di origine antropica.

Quello che, invece, è chiamato buco dell’ozono è un fenomeno che vede, in una data area, la concentrazione di ozono scendere al di sotto di quella che gli scienziati chiamano la soglia storica di 220 unità Dobson, il che significa: maggiore erosione dello strato di ozono stratosferico che protegge la Terra, più rischi per il pianeta. La perdita di ozono, che è molto piccola vicina all’Equatore, aumenta con la latitudine verso i poli. Il grave impoverimento dell’ozono stratosferico nell’Antartide è noto come buco dell’ozono.

Negli anni Ottanta del secolo scorso le misurazioni fatte a terra con spettrofotometri Dobson rivelarono che in corrispondenza dell’Antartide, tra la fine dell’inverno e l’inizio della primavera, la concentrazione di ozono era insolitamente bassa, più bassa rispetto alle osservazioni del 1957. I primi rapporti pubblicati furono quelli della Japan Meteorological Agency e del British Antarctic Survey. I risultati vennero tuttavia universalmente conosciuti dopo che Joseph Charles Farman, Brian George Gardiner e Jonathan David Shanklin, i tre scienziati del British Antarctic Survey che avevano scoperto il buco dell’ozono sopra l’Antartide, il 16 giugno del 1985 pubblicarono le loro osservazioni su Nature, speculando come la causa dell’impoverimento dello strato di ozono fossero i clorofluorocarburi, composti chimici prodotti dall’uomo utilizzati nei dispositivi di refrigerazione e nei propellenti. Dopo aver osservato la considerevole diminuzione dei valori primaverili del totale di ozono nell’Antartide, suggerirono come le temperature molto basse rendessero la stratosfera antartica sensibile alla crescita del cloro inorganico. Ancora oggi la crescita o la diminuzione dell’ozono stratosferico sopra l’Antartide, dove esistono particolari condizioni chimiche e meteorologiche, vengono documentate ogni anno da una combinazione di osservazioni satellitari, a terra e con palloni d’alta quota. È in questa cornice che è nato il NASA Ozone Watch del Goddard Space Flight Center della NASA.

Ad ipotizzare per primi come l’impoverimento dello strato di ozono dellatmosfera potesse essere causato dai clorofluorocarburi erano stati, con un articolo pubblicato il 28 giugno del 1974 su Nature, il chimico messicano Mario José Molina Henríquez e il chimico statunitense Frank Sherwood Rowland: “I clorofluorometani vengono aggiunti all’ambiente in quantità costantemente crescenti” scrivevano. “Questi composti sono chimicamente inerti e possono rimanere nell’atmosfera per 40-150 anni, e ci si può aspettare che le concentrazioni raggiungano livelli da 10 a 30 volte superiori. La fotodissociazione dei clorofluorometani nella stratosfera produce quantità significative di atomi di cloro e porta alla distruzione dell’ozono atmosferico”. L’anno prima Mario José Molina Henriquez aveva, infatti, iniziato a collaborare con il gruppo di Frank Sherwood Rowland per ricerche sui clorofluorocarburi usati come propellenti per le bombolette spray e nelle serpentine di raffreddamento dei frigoriferi. Nel 1995 Mario José Molina Henriquez, Frank Sherwood Rowland e il chimico olandese Paul Jozef Crutzen furono insigniti del Nobel per la Chimica per i loro studi sulla chimica dell’atmosfera, e, in particolare, sulla formazione e decomposizione dellozono.

Come ricorda la NASA, la scoperta del buco dell’ozono aprì gli occhi del mondo sugli effetti globali dell’attività umana sull’atmosfera: “Risultò che i clorofluorocarburi (CFC), prodotti chimici longevi che erano stati usati nei frigoriferi e nelle bombolette spray sin dal 1930, avevano un lato oscuro. Nello strato dell’atmosfera più vicino alla Terra (la troposfera), i CFC erano circolati per decenni senza degradarsi o reagire con altre sostanze chimiche. Quando hanno raggiunto la stratosfera, tuttavia, il loro comportamento è cambiato. Nella stratosfera superiore (oltre la protezione dello strato di ozono), la luce ultravioletta ha causato la rottura dei CFC, rilasciando il cloro, un atomo reattivo che catalizza ripetutamente la distruzione dell’ozono”.

Nel 1985 la comunità internazionale adottò, pertanto, la Convenzione di Vienna, un accordo quadro che impegnava le parti a cooperare per comprendere e valutare gli effetti delle attività umane sullo strato di ozono e quelli esercitati sulla salute umana e l’ambiente dalla modifica dello strato di ozono. Nel 1987 la Convenzione di Vienna fu integrata dal Protocollo di Montreal, strumento operativo per la riduzione e l’uso delle sostanze giudicate pericolose per lo strato di ozono.

Già la Convenzione di Vienna aveva elencato una serie di sostanze che sembravano avere il potere di modificare le proprietà chimiche e fisiche dello strato di ozono: monossido di carbonio, diossido di carbonio, metano, idrocarburi diversi dal metano, protossido di azoto, perossidi di azoto, derivati del cloro e del bromo, sostanze idrogenate. Il Protocollo di Montreal diffuse, a sua volta, una lista di sostanze regolamentate accompagnate dal rispettivo potenziale di impoverimento dello strato di ozono: triclorofluorometano, diclorofluorometano, triclorotrifluoroetano, diclorotetrafluoroetano, cloropentafluoroetano, bromoclorodifluorometano, bromotrifluorometano, dibromotetrafluoroetano. Elencò, quindi, una lista di prodotti che contenevano tali sostanze: apparecchi di climatizzazione per autoveicoli e autocarri (incorporati o meno nel veicolo), frigoriferi, congelatori, deumidificatori, raffreddatori ad acqua, macchine per la fabbricazione del ghiaccio, dispositivi di climatizzazione, pompe di calore, aerosol diversi da quelli usati in medicina, estintori portatili, pannelli isolanti, rivestimenti di canalizzazioni, prepolimeri.

Il meccanismo diventava, pertanto, sempre più chiaro. Come spiega Twenty Questions and Answers About the Ozone Layer, pubblicazione che accompagna il report 2014 dello Scientific Assessment Panel del Protocollo di Montreal, i gas di fonte alogena, frutto dell’attività umana, si accumulano nell’atmosfera e vengono distribuiti globalmente nella bassa atmosfera da venti e altri movimenti aerei. Questi gas vengono, quindi, trasportati via aerea verso la stratosfera, dove, attraverso reazioni chimiche che coinvolgono le radiazioni ultraviolette della luce solare, vengono convertiti in gas alogeni reattivi, causando, attraverso cicli catalitici costituiti da due o più reazioni separate, l’impoverimento dell’ozono stratosferico. L’aria contenente gas alogeni reattivi torna, quindi, nella troposfera dove i primi vengono rimossi dall’umidità di nuvole e pioggia.

Nelle regioni caratterizzate da basse temperature, dove si formano nubi polari stratosferiche, i gas alogeni reattivi crescono in modo significativo, causando gravi perdite di ozono fra il tardo inverno e l’inizio della primavera. Ecco perché è apparso un buco dell’ozono in corrispondenza dell’Antartide, anche se le sostanze che riducono lo strato di ozono, spiegano gli scienziati, sono presenti in tutta la stratosfera. Come spiega Twenty Questions and Answers About the Ozone Layer le reazioni speciali che si verificano sulle nubi polari stratosferiche, combinate con l’isolamento dell’aria polare stratosferica nel vortice polare, consentono alle reazioni di cloro e bromo di produrre il buco dell’ozono nella primavera antartica.

Nel frattempo ai primi di novembre di quest’anno una notizia ha fatto il giro del mondo: il buco dell’ozono si è ristretto! Una notizia, così come è stata annunciata, che poteva far pensare che la stratosfera si fosse definitivamente liberata dei composti nocivi. Le cose sono, tuttavia, un po’ diverse. È stata, infatti, l’aria calda a determinare l’attuale riduzione del buco dell’ozono, il più piccolo mai osservato dal 1988 e circa 1 milione di miglia più piccolo rispetto a quello del 2016. Parola degli scienziati della NASA e della National Oceanic and Atmospheric Administration, NOAA, che da anni monitorano insieme i cambiamenti stagionali dello strato di ozono sopra l’Antartide, usando satelliti, misurazioni a terra e palloni d’alta quota.

Sebbene gli scienziati prevedano che il buco dell’ozono continuerà a ridursi grazie agli strumenti adottati dalla comunità internazionale, l’ultimo restringimento del buco dell’ozono ha a che fare più con le condizioni meteorologiche che con l’intervento umano: “Il buco dell’ozono più piccolo, nel 2017, è stato fortemente influenzato da un vortice antartico instabile e più caldo – il sistema di bassa pressione stratosferica che ruota in senso orario nell’atmosfera sopra l’Antartide” spiegano Katy Mersmann della NASA e Theo Stein della NOAA. “Ciò ha contribuito a ridurre al minimo la formazione di nubi polari nella stratosfera inferiore. La formazione e la persistenza di queste nuvole sono importanti primi passi che portano alle reazioni catalizzate da cloro e bromo che distruggono l’ozono. Queste condizioni antartiche assomigliano a quelle che si trovano nell’Artico, dove la riduzione dell’ozono è molto meno grave”.

Un fenomeno simile si verificò nel 2016, allorquando temperature stratosferiche più calde limitarono la crescita del buco dell’ozono, che raggiunse un massimo di 8,9 milioni di miglia quadrate, 2 milioni in meno rispetto al 2015, allorquando, al contrario, temperature più fredde crearono condizioni favorevoli per le reazioni chimiche coinvolte nella riduzione dello strato di ozono. “La variabilità meteorologica di anno in anno ha un impatto significativo sull’ozono dellAntartide perché le temperature stratosferiche più calde possono ridurre limpoverimento dellozono”, spiegava già nel 2014 Paul A. Newman del Goddard Space Flight Center.

Dopo le ultime misurazioni gli scienziati, pur nella consapevolezza che le minori estensioni del buco dell’ozono del 2016 e del 2017 siano da attribuire alla variabilità meteorologica e che non siano pertanto da interpretare come un “segnale di guarigione”, pensano che un graduale miglioramento del buco dell’ozono dell’Antartide, man mano che diminuiranno  composti chimici nocivi, sia possibile da qui al 2070, quando il buco potrà tornare ai livelli del 1980.

 

Abbiamo parlato di:

Buco dell’ozono –Antartide Animazione

Japan Meteorological Agency Website

British Antarctic Survey Website Twitter Facebook

Large losses of total ozone in Antarctica reveal seasonal ClOx/NOx interaction Articolo

NASA Ozone Watch Website

Goddard Space Flight Center Website Twitter Facebook Google+ Instagram Pinterest Flickr LinkedIn

NASA – National Aeronautics and Space Administration Website Twitter Facebook Google+ Instagram Pinterest Flickr Tumblr LinkedIn

Stratospheric sink for chlorofluoromethanes: chlorine atom-catalysed destruction of ozone Articolo

Convenzione di Vienna Testo

Protocollo di Montreal Testo

Twenty Questions and Answers About the Ozone Layer Testo

Scientific Assessment Panel – Montreal Protocol Scheda

Warm Winter Air Makes for a Small Ozone Hole Video

NOAA – National Oceanic and Atmospheric Administration Website Twitter Facebook Google+ Instagram Pinterest Flickr LinkedIn