Sempre più diffuso il fenomeno hikikomori: quando autorecludersi in una stanza diventa l'unica soluzione
L'età di insorgenza è intorno ai 14-15 anni, ma ci sono sempre più bambini di 11-12 anni che hanno problemi a stare con gli altri, dando avvio ad una condizione in cui si allontanano dalla vita sociale
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Il termine giapponese hikikomori significa letteralmente “stare in disparte” e viene utilizzato per riferirsi a coloro che si isolano dal mondo sociale per mesi e anni, autorecludendosi nella propria abitazione e tagliando ogni contatto diretto con l'esterno. Si tratta soprattutto di giovani maschi, fragili a livello relazionale e ipercritici nei confronti di una società nella quale arrivano a non riconoscersi più come parte integrante. In Giappone tale fenomeno ha assunto dimensioni allarmanti, con oltre 500.000 casi accertati, ma i numeri sembrano essere in crescita in molte nazioni economicamente sviluppate, tra cui l'Italia, dove si stima ci siano centinaia di migliaia di casi. La definizione originaria giapponese di hikikomori prevede che il soggetto sia isolato completamente per un tempo minimo di 6 mesi (Crepaldi, 2019).
L'età di insorgenza è intorno ai 14-15 anni, ma ci sono sempre più bambini di 11-12 anni che hanno problemi a stare con gli altri, dando avvio ad una condizione in cui si allontanano dalla vita sociale. Il ritiro può essere molto duraturo e permanere anche per diversi anni (Foschi, 2021; Iantosca, 2021).
Si tratta di un fenomeno multifattoriale che deriva principalmente dalle pressioni di realizzazione sociale: si evidenzia nel ragazzo una sensibilità spiccata, la paura dello stare in relazione, l'introversione, l'amore per la solitudine. Ma a questo si aggiunge una famiglia nella quale sono presenti alte aspettative prestazionali sui figli, la richiesta di raggiungere risultati importanti nella vita, sia in termini scolastici sia in termini di risultati in generale. Il ragazzo, di fronte alle aspettative piuttosto alte che generalmente vengono esercitate dalla scuola o dall'ambiente, di fronte ad un mondo esterno che chiede di essere simpatico, bello e di avere successo, preferisce isolarsi (Iantosca, 2021).
Non è una psicopatologia ma può creare patologie psicologiche e psichiatriche a causa del prolungato isolamento: disturbi d'ansia, disturbi dell'umore, dipendenza da internet, ecc..
La pandemia ha avuto indubbiamente un forte impatto sulla realtà degli hikikomori. Durante il lockdown, nelle persone isolate da molto tempo, si è riscontrato un effetto paradossale con un conseguente miglioramento. Dopo tanto tempo infatti si sono sentite come tutti gli altri: tutti stavano a casa come loro con una conseguente diminuzione della pressione sociale. Chi, invece, non era ancora entrato in isolamento o ne stava uscendo ha subito una regressione ed un peggioramento della condizione (Foschi, 2021).
Cosa possono fare i genitori degli hikikomori per affrontare questo gravissimo problema e aiutare i figli a riavere una vita sociale?
Innanzitutto è bene sapere che prima di arrivare all'isolamento totale e prolungato il soggetto attraversa tre stadi (Crepaldi, 2017):
Primo stadio: il giovane comincia a percepire la pulsione all'isolamento sociale. Si accorge di provare malessere quando si relaziona con altre persone, mentre si sente meglio quando si rifugia nella solitudine. In questa fase, nonostante il malessere, il giovane continua a mantenere attività sociali che richiedono un contatto diretto con il mondo esterno pur prediligendo le relazioni virtuali.
I comportamenti tipici di questa fase sono: il rifiuto saltuario di andare a scuola, il graduale abbandono delle attività sociali (ad es.: le attività sportive), una progressiva inversione del ritmo sonno-veglia e la preferenza per attività solitarie (ad es.: giocare ai videogames, guardare serie televisive).
Secondo stadio: il giovane comincia ad essere consapevole della pulsione che lo spinge all'isolamento e la attribuisce a determinati contesti o relazioni sociali. Il soggetto comincia a non uscire più con gli amici, abbandona progressivamente la scuola, inverte totalmente il ritmo sonno-veglia e trascorre quasi tutto il suo tempo chiuso in camera da letto. I contatti sociali con il mondo esterno sono solo quelli virtuali (ad es.: chat, forum e giochi online). Il rapporto con i familiari è conflittuale.
Terzo stadio: il giovane si isola totalmente dal mondo esterno, si allontana anche dai genitori e dalle relazioni sviluppate in rete. C'è il rischio che possa sviluppare psicopatologie.
Una volta che l'hikikomori ha raggiunto il terzo stadio, è molto difficile riuscire a riportarlo alla vita sociale e spesso è necessario un intervento lungo e articolato, che potrebbe durare anche anni.
Per questo motivo è fondamentale intervenire già nel primo stadio, quando si manifestano i primi segnali. In questa fase i genitori devono cercare di confrontarsi spesso con il figlio, provando a comprendere quali siano le motivazioni sottese che lo portano ad isolarsi.
Nel momento in cui si ha la percezione che tali comportamenti stiano peggiorando è fondamentale che i familiari si rivolgano nel più breve tempo possibile ad uno specialista.
Nello specifico, quali sono i comportamenti consigliati e quali invece da evitare quando si ha a che fare con un hikikomori (Crepaldi, 2017)?
I comportamenti consigliati
Accettare la sua sofferenza: evitare di sminuire il malessere del giovane, ma accettare il suo disagio sociale;
Allentare la pressione di realizzazione sociale: il giovane si isola proprio per sfuggire alla competizione che la società impone.
Cercare il confronto: stimolare una riflessione critica sul problema attraverso il dialogo.
Interpretare il problema a livello sistemico: valutare in un'ottica sistemica i fattori sociali, scolastici e familiari che hanno portato all'isolamento.
Responsabilizzarlo: renderlo consapevole dell'effetto che il suo comportamento ha sulle persone che lo circondano ed evitare di soddisfare ogni sua necessità.
Essere trasparenti: qualsiasi azione intrapresa nei suoi confronti deve essere condivisa con lui.
Spezzare la routine: l'hikikomori tende ad avere una routine rigida e solitaria, per questo è importante provare a farlo evadere dalle proprie abitudini radicate;
Focalizzarsi sul benessere: quando si vuole aiutare un hikikomori, la priorità rimane quella di aiutarlo a stare meglio, non quella di fargli recuperare subito la frequenza scolastica o i rapporti sociali.
I comportamenti da evitare:
Assumere un atteggiamento iperprotettivo: quando un hikikomori si isola, spesso il genitore diventa iperprotettivo, impedendogli di sperimentare situazioni di insuccesso e delusione;
Intraprendere azioni coercitive: imporre al giovane le proprie decisioni non produce quasi mai effetti positivi. L'azione più comune è quella di privarlo forzatamente di internet, scambiandolo per la causa del problema, ma in realtà è l’unico canale sociale che vuole tenere aperto;
Rinunciare al proprio benessere: in questo modo i genitori aumentano la pressione e il senso di colpa sul figlio.
Trattarlo come un malato: l'hikikomori tende ad allontanare la persona che lo tratta da malato.
Giudicarlo per la propria condizione: evitare di giudicare la sua scelta, ma concentrarsi sul suo malessere e sulle cause che lo hanno portato a questa scelta.
Pressarlo affinché ritorni a scuola o frequenti gli amici: questo tipo di atteggiamento solitamente aggrava la situazione e rischia di produrre l'effetto opposto, generando in lui la sensazione di non essere compreso nel proprio malessere.
In conclusione, il primo intervento da mettere in atto è sulla famiglia. Gli hikikomori non ritengono di avere un problema, quindi bisogna agire sul sistema di appartenenza. Le pressioni implicite familiari contribuiscono alla persistenza del problema. Una volta che sono cambiate queste dinamiche, il giovane ritorna ad aprirsi con i genitori e a considerare la possibilità di rivolgersi ad un professionista esperto inizialmente attraverso colloqui psicoterapeutici online.