Dragare i fiumi serve per prevenire le esondazioni? No
Da qualche giorno non si parla più di dragare e scavare il letto dei fiumi per risolvere il problema delle alluvioni. Passata l’ultima ondata di maltempo sembra essere tornata la quiete, che probabilmente durerà fino alla prossima esondazione fluviale.
“L’escavazione selvaggia, spesso mascherata da manutenzione è, in realtà, una delle cause dei disastri che si susseguono con sempre più frequenza nel nostro Paese e non una soluzione”, si legge in una nota del Wwf. A ciò vanno aggiunti il consumo di suolo, l’occupazione degli spazi di esondazione naturale dei fiumi e il caos climatico, tutti aspetti provocati da azioni irresponsabili dell’uomo.
Lungo la Penisola non mancano esempi significativi. Nella Lunigiana nel 2011 l'esondazione del Vara e del Magra, hanno colpito interi paesi. Il Vara nel 1877 aveva un alveo attivo, in alcuni tratti, intorno agli 870 metri di larghezza, ma oggi è a 144 metri a causa dell'occupazione del suolo e della canalizzazione dell'alveo. “Stando ai fautori del 'dragaggio' vista l'attuale situazione (che è quella di gran parte dei fiumi italiani) quanto bisognerebbe scavare nel Vara affinché una portata con tempo di ritorno anche centennale, possa transitare senza far danni nell'attuale alveo? Quante centinaia di metri bisognerebbe scavare in profondità per compensare lo spazio rubato al fiume?” si domanda Andrea Agapito Ludovici, Responsabile Acque WWF Italia.
C’è confusione tra la necessità di una manutenzione attenta, necessaria per garantire l'officiosità idraulica di ponti, centri abitati, manufatti, in particolari zone dove ci sono alluvionamenti anomali, con l'escavazione o il dragaggio. “Queste ultime non fanno altro che aumentare la velocità della corrente e creare più danni a valle. Spesso con la scusa di portar via qualche centinaio di metri cubi per sgomberare una “luce” di un ponte, ne sono stati portati via - con irresponsabilità - 10, 100 volte di più”, commenta l’esperto.
Le escavazioni in alveo sono vietate da anni a fini commerciali, sebbene la legge consenta spostamenti di materiale litoide per garantire la funzionalità idraulica fluviale. Il problema – sottolinea un documento di WWF e CIRF del 2008 - riguarda il reale ruolo che i depositi derivanti dal trasporto solido giocano nell'aumentare il rischio alluvioni.
L'eliminazione di questi depositi comporta in generale effetti negativi di notevole importanza, in particolare per quanto riguarda l’aumento di profondità e pendenza del fiume, che determinano un aumento della velocità di corrente e delle capacità erosive, e l’abbassamento dell'alveo rispetto alle golene: effetti che rafforzano il rischio alluvioni, visto che l'acqua invece di occupare le golene e laminare le piene, scorre più velocemente aumentando i rischi nei tratti di valle.
Anche l’alveo del Po, e di molti suoi affluenti, si è abbassato notevolmente negli ultimi decenni. Ma a livelli idrometrici drasticamente bassi non corrispondono portate d’acqua altrettanto drasticamente basse.
L'abbassamento dell'alveo in parte è dovuto alla riduzione del trasporto solido a causa anche delle numerose traverse e dighe che intrappolano i sedimenti a monte, favorisce l’arretramento delle coste e l’ingresso del cuneo salino. Buona parte delle coste italiane (circa il 45%) è oggi minacciata da un progressivo e generale degrado che per lo più si evidenzia in una forte erosione degli arenili. Un fenomeno che appare in tutta la sua gravità già alla fine degli anni '50, dopo un lungo periodo di generale stabilità delle spiagge. La costa adriatica è un esempio emblematico e il delta del Po non fa eccezione.
Che fare? “Prendere spunto da Francia, Germania, Inghilterra, Austria e molti altri Paesi che stanno ridando spazio ai fiumi, così che possano sfogare la loro energia fuori dei centri abitati. Il dragaggio è una delle cause del disastro e dello squilibrio del letto dei fiumi. In molti tratti fluviali le notevoli pendenze rendono trascurabile qualsiasi lavoro in alveo. C'è bisogno di un'ampia e diffusa azione di rinaturazione e le Regioni hanno anche l'obbligo, disatteso fino ad ora, di destinare almeno il 20% delle risorse per il dissesto idrogeologico a interventi innovativi di questo tipo”, conclude Agapito Ludovici.
Ecco il decalogo del Wwf per mettere in sicurezza il Paese, salvaguardando gli ecosistemi fluviali:
1. Corretta applicazione delle direttive europee, in particolare la Direttiva Quadro “Acque” (2000/60/CE) e “Alluvioni” (2007/60/CE).
2. Consolidamento del ruolo delle autorità di distretto (istituite nel 2016) per il coordinamento degli interventi per il dissesto idrogeologico, la difesa e messa in sicurezza del suolo e la qualità delle acque a livello di bacino idrografico, come previsto dalla Direttiva quadro Acque.
3. Avvio di una diffusa rinaturazione fluviale, per recuperare la capacità di ritenzione delle acque in montagna e collina e per ripristinare le aree di esondazione naturale dei fiumi nei fondovalle e in pianura, rispettando l’obbligo imposto alle Regioni (L. 133/2014), non ancora pienamente rispettato, di impiegare almeno il 20% di finanziamenti della difesa del suolo per interventi integrati per il miglioramento dello stato ecologico dei corsi d'acqua e la tutela degli ecosistemi e della biodiversità, promuovendo “infrastrutture verdi”, come previsto anche dalla risoluzioni della Commissione europea (2013/249).
4. Avviare un programma di manutenzione del territorio per tutelare la funzionalità degli ecosistemi e mantenere un adeguato equilibrio territoriale ambientale.
5. Assicurarsi che i Piani di Protezione civile siano redatti a tutti i livelli istituzionali e i Comuni siano in grado di attuarli, nei periodi di allerta.
6. Avvio di una capillare campagna di informazione e formazione sul rischio, così che i cittadini siano consapevoli delle situazioni di rischio (molti non sanno di vivere dentro dei fiumi, sopra a frane attive, in aree a rischio terremoti) e imparare a come comportarsi nelle diverse situazioni di rischio.
7. Promozione di sistemi di drenaggio urbano sostenibile, per migliorare la gestione dell’acqua soprattutto nelle grandi città. Sistemi che sfruttano al meglio i diffusi spazi marginali, i parcheggi, i giardini e i tetti per favorire l’accumulo della pioggia e la loro successiva infiltrazione nel sottosuolo.
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