Quando la rabbia è incontrollabile: il disturbo esplosivo intermittente. Come imparare a gestirla
Lo psicoterapeuta Enrico Maria Secci spiega quale sia la "fabbrica della rabbia": le cause, le conseguenze degli scoppi d'ira e quale sia il vero nemico da abbattere. Come affrontare il problema
Il Disturbo Esplosivo Intermittente o IED (Intermittent Explosive Disorder) è caratterizzato da scoppi d'ira improvvisi, ricorrenti e imprevedibili, caratterizzati da aggressioni verbali o fisiche sproporzionate e dal successivo ritiro in un mutismo impenetrabile. Chi soffre di questa disfunzione tende a travisare la comunicazione o a sovrastimare, distorcendoli negativamente, i comportamenti degli altri e, perciò, può reagire con un'aggressività abnorme e incontrollata a situazioni normalmente gestibili attraverso il dialogo.
Il Disturbo Esplosivo Intermittente è catalogato nel Manuale Diagnostico Statistico dei Disturbi Mentali (DSM 5) tra i disturbi dirompenti del controllo degli impulsi e della condotta. Gli episodi di rabbia sono preceduti da irritabilità, stanchezza, senso di oppressione e talvolta di eccitazione e sono più probabili in situazioni in cui la persona sperimenta sentimenti sia positivi che negativi. Chi soffre di questa disregolazione emotiva può involontariamente compromettere le relazioni con gli altri, perché le esplosioni di rabbia appaiono "fuori scala" e spaventano chi non conosce la fragilità e la suscettibilità patologica.
Il rapporto con una persona che soffre del Disturbo Esplosivo Intermittente può creare nell'altro una sensazioni di timore costante e di tensione motivate dalla preoccupazione di scatenare episodi di aggressività che, anche se brevi, possono raggiungere apici sconcertanti. Per questo, se non curato, lo IED espone chi ne soffre a continui fallimenti in ambito relazionale, sentimentale e lavorativo per via della reattività eccessiva, che sfibra anche le persone più comprensive e pazienti.
La rabbia
Tra le emozioni umane, la rabbia è forse quella più arcaica ed è probabilmente una delle prime emozioni a presentarsi nello sviluppo degli individui. Si tratta di uno stato di attivazione dell’organismo in prossimità di una situazione o di una persona avvertiti come minacciosi o ostili ed è essenzialmente un meccanismo di difesa legato all’istinto di auto-conservazione dell’essere umano. Infatti, la rabbia è un’eredità dell’uomo primitivo perché ne ha garantito la sopravvivenza, tuttavia per l’uomo moderno costituisce una risposta in genere inadeguata alla complessità delle relazioni e dell’organizzazione sociale in cui è inserito.
La “fabbrica” della rabbia
Non è un caso che la struttura anatomica responsabile della rabbia sia anche la parte più antica del nostro cervello, quella che abbiamo in comune con squali e alligatori. Questa struttura si chiama amigdala e ha le dimensioni di una nocciolina, eppure può scatenare emozioni in grado di sbaragliare il controllo delle aree cerebrali di formazione più recente, aree deputate al pensiero razionale e alla modulazione degli impulsi. Sin dalla più tenera infanzia, l’amigdala invia all’organismo informazioni di carattere emotivo legate alla presenza di minacce per la sopravvivenza e attiva risposte difensive rispetto a un pericolo percepito. L’amigdala è una struttura deputata a garantire una pronta reazione di attacco o di fuga utili a preservare l’incolumità dell’organismo perciò, tra altre emozioni “fabbrica” la rabbia ogni qualvolta “capta” all’esterno situazioni o persone potenzialmente dannosi. Il problema è che, senza una opportuna e calibrata mediazione delle parti del cervello più evolute (la corteccia pre-frontale), l’amigdala può comportarsi come un antifurto malfunzionante e dare luogo a reazioni distruttive e inappropriate, a esplosioni deflagranti dell’irrazionalità che fanno erroneamente apparire ostili o cattive circostanze e persone vicine, tramutandole in bersagli da distruggere.
Le conseguenze della rabbia
La rabbia incontrollata può devastare relazioni personali e professionali, impedire l’affermazione di se stessi, influire sulle nostre scelte e inibire quelle “buone per noi” mentre ci sprofonda nell’abisso della solitudine e dell’insoddisfazione. Ciò avviene perché, quando non è opportunamente riconosciuta e contenuta come una disfunzione, come una reazione abnorme, la rabbia diventa totalizzante: annebbia il senso di realtà e altera la nostra capacità di distinguere gli amici dai nemici e mina le fondamenta della nostra identità. Inoltre, poiché il meccanismo della rabbia è transitorio come un’onda anomala ed è simile a una brutta sbornia, presto si recupera la lucidità sufficiente per constatare la distruzione di cui siamo stati gli autori … in molti casi, purtroppo, è già tardi per porvi rimedio. Ma si può sempre ricominciare da capo.
Le radici della rabbia
La rabbia patologica è sempre collegata a un senso di profonda inadeguatezza, di impotenza e di fragilità che è germogliato sin dall’infanzia quando i genitori o altre figure affettivamente significative si sono mostrati discontinui, depressi o inadeguati, a propria volta conflittuali o cristallizzati in ruoli rigidi e freddi nei confronti del bambino. Si può dire che i “semi” di questa emozione detonante e radioattiva vengono da un sentimento antico di esclusione e di inferiorità avvertito nel corso dei primi anni di vita e coltivato ininterrottamente nelle esperienze successive. Ciò non vuol certo dire che il nostro passato ci “condanna”. L’unica cosa che ci condanna davvero è l’inconsapevolezza e il rifiuto di riconoscere che una parte di noi fa il bello e il cattivo tempo (soprattutto il cattivo) e, tempesta dopo tempesta, erode le nostre conquiste e annienta la nostra vita.
Combattere il Vero Nemico.
Si può cambiare. Come esseri umani abbiamo la straordinaria capacità di fronteggiare e risolvere gran parte dei problemi psicologici, a condizione di imparare a riconoscere in modo nuovo, emozionante e originale il “vero nemico” che lo ha generato e che pilota il mostro della rabbia come un dispositivo bellico fuori controllo. Quale parte di noi ha scatenato quella reazione distruttiva che, oggi, ci sembra assurda e verso cui nutriamo un tormentoso senso di colpa? Qual è stata, davvero, l’utilità di quelle intemperanze? Quali risultati hanno prodotto i nostri eccessi lungo l’intero corso della nostra vita? Quando ci siamo sentiti arrabbiati per la prima volta? E, in particolare, che cosa possiamo fare per impedire che accada di nuovo?