Dal Rinascimento al futuro, nasce a Padova il Giardino della Biodiversità

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A Padova, dove dal Cinquecento esiste il più antico Orto Botanico del mondo, dal 1997 patrimonio Unesco, è stato inaugurato il Giardino della Biodiversità, realizzato, su progetto dell’architetto Giorgio Strappazzon, su un terreno confinante nel cuore della città fra la Basilica di Sant’Antonio e quella di Santa Giustina. Più di mille e trecento le specie presenti, rappresentative delle varie zone del mondo.
Colpisce la struttura, una grande teca progettata per sfruttare al meglio l’energia solare. C’è anche una grande vasca per la raccolta dell’acqua piovana e un pozzo artesiano, gioia delle piante tropicali e una sicurezza per i periodi di siccità. Cinque, le grandi serre in vetro e acciaio, dove il mondo vegetale è raccontato attraverso pannelli informativi, filmati, exhibit interattivi, reperti. “Lo stile espositivo” spiegano infatti a Padova “è quello dei progetti di museologia scientifica più avanzati a livello internazionale” con un “mix di linguaggi differenti” come reperti antropologici ed etnografici originali, modelli, ricostruzioni scenografiche, video, proiezioni, animazioni, grafiche 3D.
Grazie alla collaborazione con H-ART, azienda che fa capo a GroupM, holding della attività media di WPP, l’Orto Botanico e il Giardino della Biodiversità sono anche digitali. Un’applicazione per smartphone Android e iOS accompagna infatti i visitatori, offrendo loro una “banca dati con informazioni aggiuntive, immagini e curiosità”, il tutto accessibile anche all’esterno. Durante la visita, grazie ad alcuni iBeacon, rilevatori di prossimità, collocati nel giardino, la app “notifica al visitatore la possibilità di accedere a contenuti di approfondimento”. “Aver partecipato a questo progetto” così Massimiliano Ventimiglia, CEO e fondatore di H-ART “è stata un’esperienza unica che ci ha consentito di applicare le nostre conoscenze tecnologiche alla botanica e alla cultura, che possono sembrare così distanti dalla dimensione digitale. Niente di così falso. Un progetto che offre possibilità di coinvolgimento ed emozioni uniche: un viaggio nel mondo della botanica che fa in modo che tutti i visitatori del Giardino si possano connettere con le piante e ricevere curiosità, informazioni e particolari che altrimenti sarebbero celati ai non esperti”.
Nel Giardino della Biodiversità sono stati realizzati due percorsi. Il primo, Le piante e l’ambiente, con la serra più grande dedicata ai biomi tropicali. Una serra di vegetazione lussureggiante. Il visitatore vi potrà infatti ammirare la profumata pianta della vaniglia, la Vanilla planifolia, un’orchidea di origine americana dai lunghi baccelli scuri, che a Padova viene tuttavia fecondata artificialmente poiché gli insetti del genere Melipona, api senza pungiglione, suoi impollinatori, vivono solo nell’ambiente naturale. Nella serra ci sono anche la papaya (Carica papaya) con i suoi frutti succosi, la pianta del cacao (Theobroma cacao) con i piccoli fiori bianchi sul fusto. C’è anche la pianta del pepe nero (Piper nigrum), conosciuta agli antichi Egizi e ai Romani e che i Portoghesi, aperta nel Quattrocento la Via delle Spezie via mare, portarono dall’India in Europa, con buona pace dei mercanti arabi, che del mercato delle spezie avevano il monopolio. Né potevano mancare nella serra il banano (Musa paradisiaca), la palma della noce di cocco (Cocos nucifera), il mango (Mangifera indica) e alcune piante dalle proprietà curative, come la pervinca del Madagascar (Catharanthus roseus), dalle proprietà antitumorali, e gli strofanti (Strophantus gratus, Strophantus speciosus, Strophantus preusii), liane africane usate contro alcune malattie cardiache.
La seconda serra è invece dedicata alla vegetazione subtropicale, quella, cioè, che cresce in regioni dal clima caldo dove la stagione delle piogge s’alterna a quella secca, e alla savana. Ci sono il baobab (Adansonia digitata), le acacie (Acacia sp.), il tamarindo (Tamarindus indica), la strelitzia (Strelitzia alba), pianta simile al banano, che in primavera regala fiori sgargianti “simili a teste di aironi”. C’è anche la pianta del caffè (Coffea arabica) con le sue caratteristiche “bacche rosse simili a ciliegie” contenenti i semi che vengono tostati per ricavare il caffè che si trova in commercio, e ci sono, in una grande vasca colorata, piante acquatiche e palustri come le mangrovie (Avicennia germinans, Rhizophora mangle), che “catturano l’ossigeno con particolari radici che escono dall’acqua”, i fiori di loto (Nelumbo nucifera), la victoria (Victoria cruziana) con le sue grandi foglie galleggianti e l’euriale (Euryale ferox), specie di grande ninfea con le “foglie coperte di spine aguzze”.
Nella terza serra si trovano invece alcune piante tipiche del clima temperato, come la Dicksonia fibrosa, una felce gigante dal “tronco simile alla pelliccia di un orso” originaria della Nuova Zelanda, la macadamia (Macadamia integrifolia), la cui noce è usata sia in cosmesi che nell’alimentazione e la franklina (Franklinia alatamaha), specie di origine americana, dedicata a Benjamin Franklin, l’inventore del parafulmine, ormai assai rara in natura e che pertanto “vive solamente in coltivazione”.
Nella serra, in realtà due serre, dedicata al clima mediterraneo, si trovano il carrubo (Ceratonia siliqua), le palme da dattero (Phoenix dactylifera), una sughera (Quercus suber), le regine delle piante mediterranee come l’arancio (Citrus sinensis), il limone (Citrus limon), il pompelmo (Citrus paradisi), il bergamotto (Citrus bergamia), il chinotto (Citrus myrtifolia), il corbezzolo (Arbutus unedo). E l’hennè (Lawsonia inermis), pianta assai diffusa nei paesi arabi, da cui, macinando rami e foglie secche, si ricava una polvere di colore giallo-verdastro utilizzata per la tintura dei capelli e i tatuaggi (tracce di hennè sono state ad esempio ritrovate sulle mummie egizie).
Chi vivrebbe volentieri nel deserto? Nessuno, a parte, qualche animale e alcune piante che l’evoluzione ha costretto alla creazione di veri e propri depositi di liquidi, da cui le loro forme bizzarre. Sono le piante grasse, carnose e irte di spine, come il fico d’India (Opuntia ficus-indica) o le piante sasso (Lithops sp) “talmente mimetiche” da risultare “invisibili” fino alla fioritura. Benvenuti nella quinta serra, dove il visitatore troverà anche le stapelie (Stapelia gigantea, Stapelia gigantea grandiflora, Stapelia gigantea hirsuta), piante tipiche del deserto dai grandi fiori a stella, belli e al tempo stesso nauseabondi tanto che i botanici li chiamano volgarmente fior di carogna. La natura, che vede e provvede, sapeva infatti che quell’odore così sgradevole avrebbe attirato gli insetti impollinatori.
Dal deserto del Kalahari e del Namib proviene invece una pianta “molto curiosa”, la Welwitschia mirabilis, un’antichissima gimnosperma, praticamente un “albero affine alle conifere, con un tronco cortissimo celato dalle due sole foglie nastriformi che per tutta la vita continuano a crescere dalla base, mentre all’estremità si seccano e si sfaldano”. Non a caso il suo nome volgare in lingua afrikaans vuol dire “due foglie che non possono morire”.
Il secondo percorso riguarda invece le piante e l’uomo. Le piante sono infatti indispensabili per il benessere, l’alimentazione e le esigenze dell’uomo. Con le piante e il legno si costruiscono “abitazioni e imbarcazioni, armi e strumenti di ogni sorta. Con le piante scriviamo, ci profumiamo, ci abbelliamo, ci coloriamo, ci droghiamo”. Ma le piante sono anche il futuro, come i robot plantoidi con le estremità a imitazione delle radici attraverso cui studieranno il suolo dei pianeti per trarne informazioni o, ancora, le piante per la produzione delle bioplastiche riciclabili. Il percorso è stato curato dall’evoluzionista e filosofo della scienza Telmo Pievani del Dipartimento di Biologia dell’Università di Padova, nonché membro del comitato scientifico del Museo delle Scienze di Trento, che in passato ha collaborato con lo American Museum of Natural History di New York, curando, in Italia, diversi progetti espositivi e coordinando il Festival della Scienza di Genova.