Chi occupa cosa? Dai migranti a Casa Pound, la gestione degli immobili occupati a Roma

di Stefania Elena Carnemolla

Patrimoni immobiliari occupati e contesi, città già degradate, sporche e deturpate, trasformate in campi di battaglia: la cronaca degli ultimi giorni con al centro l’immobile di Via Curtatone, a Roma, occupato da etiopi ed eritrei in fuga dal Corno d’Africa e gli scontri con la polizia a Piazza Indipendenza, a pochi passi dalla Stazione Termini, ha diviso l’opinione pubblica. Un’operazione di “cleaning”, di pulizia, l’ha definita, scivolando su un pasticcio linguistico, il prefetto di Roma Paola Basilone, già vice capo della Polizia su nomina, nel 2009, dell’allora ministro dell’Interno del governo Berlusconi, Roberto Maroni, e dal 2016 prefetto di Roma per volere di Angelino Alfano, all’epoca titolare del Viminale del governo Renzi.

Le immagini della guerriglia urbana romana hanno fatto il giro del mondo, contribuendo a incrinare l’immagine, già compromessa, della capitale. Le immagini dello sgombero, dopo una prima euforia, si sono tuttavia trasformate in un granello di sabbia che ha mandato in tilt il meccanismo della narrazione eroica della giornata, tanto da spingere il Viminale a un passo indietro: niente in futuro sgomberi senza aver prima individuato sistemazioni alternative. Ma il danno ormai era fatto, con Roma, un tempo simbolo del Belpaese, oggi, complici inezia e rimpalli di responsabilità delle istituzioni, di un degrado ambientale e sociale senza fine.

L’emergenza abitativa, che coinvolge molti romani, è una piaga che si trascina da anni, tanto da spingere a occupazioni di immobili di proprietà terze pubbliche o private. Occupazioni urlate come legittime perché suggerite dalla necessità.

Chi occupa cosa? La percezione nell’opinione pubblica è, tuttavia, che gli occupanti degli immobili della capitale siano solo “migranti”.

Che l’immobile di Via Curtatone, in quanto occupato, dovesse essere lasciato libero, disposizione della magistratura a parte, non era una novità. L’aveva previsto, in ambito capitolino, la delibera 50 del 12 aprile 2016 di Francesco Paolo Tronca, allora commissario straordinario del Campidoglio dopo la caduta del sindaco Ignazio Marino: parliamo del “piano di attuazione del programma regionale per l’emergenza abitativa per Roma Capitale di cui alle deliberazioni della Giunta Regionale n. 18 del 15 gennaio 2014 e n. 110 del 15 marzo 2016”. La delibera conteneva due liste: una prima lista con 16 immobili, fra cui quello di Via Curtatone, da liberare in tempi brevi e una seconda con 74 immobili, occupati anche da organizzazioni politiche. Fra gli immobili della seconda lista quello del civico 8 di Via Napoleone III, valore complessivo 11,8 milioni di euro, di proprietà demaniale e occupato da CasaPound Italia nel dicembre del 2003, invocando esigenze di emergenze abitative per alcune famiglie e da allora sede nazionale del movimento. Nel sito ufficiale del movimento, nella sezione Sedi e contatti locali ancora oggi si legge a proposito della sede nazionale: “Roma – Casa Pound – via Napoleone III n. 8 (Occupazione Scopo Abitativo)”.

Un’occupazione rivendicata il 27 dicembre 2012 da Gianluca Iannone, leader del movimento: “Via Napoleone III è un’occupazione a scopo abitativo che rientra tra le occupazioni storiche di Roma riconosciute dal Comune e dall’allora sindaco Walter Veltroni con la delibera 206/2007. È uno spazio conquistato nove anni fa da un nucleo di famiglie che lo ha sottratto all’abbandono, lo ha riqualificato, e lo ha trasformato in un luogo di cultura e di aggregazione, e, a quelle famiglie e alla città, nessuno potrà mai toglierlo, a prescindere dalla titolarità dell’immobile”.

Come furono giustificate le due liste della delibera Tronca? Ricorda una cronaca del quotidiano romano Il Messaggero del 15 aprile 2016 che vi fu a un certo punto timore di disordini in vista dello sgombero del secondo blocco di immobili occupati: “Non è un caso. Si tratta di realtà in cui un intervento di sgombero, in questa situazione, viene considerato ‘a rischio’ da Prefettura e Questura dal punto di vista dell’ordine pubblico. Proprio sullo sfratto di questi stabili, il tavolo per la sicurezza ha deciso di frenare, nel vertice convocato due giorni fa a Palazzo Valentini. Nonostante le resistenze del delegato di Tronca, il subcommissario Ugo Taucer, che durante la riunione ha insistito affinché venisse ripristinata la legalità in tutti gli immobili il prima possibile, come chiesto anche dalla Corte dei Conti, a prescindere da chi fossero gli occupanti. Il prefetto Gabrielli e il questore D’Angelo però si sono trovati d’accordo nel suggerire cautela per i casi più delicati, per ragioni di sicurezza”.

Disordini vi furono, invece, allorquando il vice di Iannone, Simone Di Stefano, ex candidato sindaco di Roma alla recenti elezioni amministrative, nel settembre del 2016 fu fermato dalla polizia municipale durante lo sgombero di un’abitazione di proprietà del Campidoglio in Via del Colosseo dove vivevano due famiglie che Di Stefano aveva tentato di difendere con altri militanti dall’ordinanza di sgombero, con i manifestanti quindi entrati nell’edificio e arrampicatisi sul tetto per esporre il tricolore in segno di protesta.

Fatti di cronaca che testimoniano come l’emergenza abitativa sia una vera e propria piaga della Capitale. Occupazioni di immobili, foriere di disordini sociali, che le istituzioni preposte sembrano tuttavia trattare in maniera difforme. Lo testimonia una nota – protocollo N. 224/SIG. DIV 2/Sez. 2/4333 – dell’11 aprile del 2015, della Direzione Centrale della Polizia di Prevenzione con sigla in calce del direttore, il prefetto Mario Papa. Il documento, una sorta di lasciapassare, fu allegato dall’avvocato di CasaPound in una causa civile che aveva opposto la figlia del poeta americano Ezra Pound e della violinista Olga Rudge, Mary Pound vedova de Rachewiltz, al movimento, di cui contestava da tempo l’uso del nome del padre. Il legale di CasaPound aveva, cioè, chiesto al giudice di acquisire informazioni sulla natura del gruppo politico al Ministero dell’Interno, con la nota della polizia di prevenzione, sostanzialmente positiva, scaturita dall’ordinanza della giudice Bianchini.

Un episodio che il 3 febbraio 2016 portò ad un’interrogazione parlamentare, in seno alla commissione Affari Costituzionali di Montecitorio, all’allora ministro dell’Interno Angelino Alfano, con il Viminale accusato, dopo la replica per bocca del sottosegretario Domenico Manzione, di non aver preso le distanze “da un documento della direzione centrale della polizia di prevenzione che la descrive come una normale e credibile organizzazione impegnata nel sociale”.

La nota firmata dal prefetto Papa colpisce in molti punti, in particolare quello dove viene elogiato l’impegno di CasaPound a favore dei più deboli anche attraverso l’occupazione di immobili, modalità che viene pertanto legittimata: “Primario l’impegno a tutela delle fasce deboli attraverso la richiesta alle amministrazioni locali di assegnazione di immobili alle famiglie indigenti, l’occupazione di immobili in disuso”.

Chi occupa cosa? Un solo problema, due visioni (del sottobosco istituzionale) diverse.

Intanto degli scontri di Piazza Indipendenza rimangono le parole fuori luogo, la violenza, il degrado e un’immagine: quella di una donna del Corno d’Africa colpita dal fuoco incrociato degli estintori della polizia mentre si allontana, poggiandosi sulla sua stampella, tra i rifiuti e la sporcizia di una giornata romana da dimenticare.