Cancro alle ovaie, la spezia molto comune che migliorala chemioterapia e ne riduce gli effetti avversi

La curcumina utilizzata insieme alla chemioterapia, le pazienti con carcinoma ovarico possono rispondere meglio ai trattamenti, e con meno effetti avversi

di Roberto Zonca

La curcuma, spezia che si trova comunemente sugli scafali dei supermercati di tutto il mondo, potrebbe migliorare i trattamenti per il cancro alle ovaie. Ne è convinta la dottoressa Maria Pino, ricercatrice di farmacologia presso il New York Institute of Technology College of Osteopathic Medicine (NYITCOM), dopo aver condotto un nuovo studio mirato sulla curcumina, composto naturale derivato proprio dalla curcuma.

Cancro ovarico, diagnosi non sempre tempestiva

Il cancro ovarico è il secondo cancro ginecologico più comune tra le donne. Soltanto negli Stati Uniti si contano ogni anno 20mila nuove diagnosi, e l’aspetto più negativo risulta essere il basso tasso di sopravvivenza a cinque anni dalla diagnosi, che rimane ancora oggi inferiore al 50 per cento. A complicare ulteriormente le cose i tempi per la diagnosi, che possono essere molto lunghi. I sintomi infatti sono spesso vaghi, e simili ad altre condizioni mediche comuni. Non esiste neppure un test di screening affidabile, pertanto il rischio è di scoprire la presenza del tumore in modo tardivo.

Allo stato attuale il tumore ovarico viene combattuto prevalentemente con l’intervento chirurgico, seguito poi da trattamento chemioterapico. Quest’ultimo, è risaputo, comporta gravi effetti collaterali, che vanno dalla perdita dei capelli a stati di malessere generali, accompagnati anche da vomito. Il carcinoma ovarico in stadio avanzato, inoltre, tende a sviluppare resistenza alla chemioterapia, rendendo i trattamenti meno efficaci. La nuova revisione medica, i cui dettagli sono stati pubblicati integralmente sulle pagine della rivista Pharmacy Times, sembra ora riaccendere la speranza, ma il composto dovrebbe esser meglio analizzato dall’intera comunità scientifica per i suoi benefici nel trattamento del cancro ovarico.

La curcumina come potenziale soppressore tumorale

E forse non a caso viene usato da tempo nell’Ayurveda, e da migliaia di anni nella medicina cinese. La medicina occidentale non lo ignora, ma neppure sembra volergli dedicare troppa attenzione. Lo si considera un potenziale soppressore tumorale, ma nulla di più. E sono tantissimi anche gli studi clinici in fase iniziale che mettono la curcumina al centro della lotta al cancro: molte di queste ricerche sostengono che il composto sia utile soprattutto in combinazione con trattamenti per tumori del colon, del cavo orale e del fegato. “Abbiamo esaminato diverse pubblicazioni su questa spezia, per la gestione degli stati infiammatori - ha commentato la dottoressa Pino, esperta di farmacologia e tossicologia - e la sua azione antiossidante si è dimostrata molto efficace”: la curcumina contribuisce a sopprimere la diffusione e la crescita delle cellule tumorali. La ricercatrice e il suo team hanno rilevato innumerevoli benefici terapeutici, inclusi effetti antinfiammatori e analgesici, il tutto senza (o pochi) effetti collaterali.

Curcumina può migliorare la citotossicità del farmaco

“La curcumina, se combinata con la chemioterapia – sottolinea l’equipe coordinata dalla dottoressa Pino -, ha maggiori probabilità di migliorare l’effetto sinergico delle cellule tumorali alla terapia farmacologica. L’aggiunta di questo fitochimico agli attuali chemioterapici per il cancro ovarico può migliorare la citotossicità del farmaco, invertendo la resistenza multipla ai farmaci”. In altre parole, quando la curcumina viene utilizzata insieme alla chemioterapia, le pazienti con carcinoma ovarico possono rispondere meglio ai trattamenti, e con meno effetti avversi.

 

Per quanto positivi e incoraggianti i risultati ottenuti da Pino e colleghi meritano un ulteriore approfondimento da parte della comunità scientifica: “Saranno necessari ulteriori studi per vedere se la curcumina può migliorare costantemente lo standard del trattamento del cancro ovarico e, in tal caso, a quale dose”.

Fonte
News Medical