Quando il lavoro ti stressa e ti fa ammalare: ecco cos'è la Sindrome di Burnout e come guarire
Ad un certo punto della propria carriera lavorativa è possibile incorrere in una sorta di rifiuto, più o meno consapevole, verso la propria professione. Si provano malumore, scarso interesse per il lavoro, insonnia, irritabilità, sensazione di non poterne più, stanchezza eccessiva, stati ansiosi, un’autosvalutazione professionale e la sensazione che il dovere professionale invada totalmente la propria vita.
Tali sintomi possono essere tipici della cosiddetta sindrome di Burnout, che letteralmente vuol dire “bruciato”, “esaurito” e la cui diagnosi viene fatta attraverso l’uso di test specifici associati a dei colloqui.
Di questa se ne parlò negli anni trenta dello scorso secolo, riferendola all’ambito sportivo e poi negli anni settanta vennero fatti degli studi ben più approfonditi, estendendola soprattutto a professionisti che si prendevano cura di altre persone (medici, psicologi, infermieri, assistenti sociali), e poi anche a chi aveva che fare in modo frequente con le relazioni interpersonali e coinvolgeva soprattutto lavoratori occidentali. Ciò può far pensare che il problema non sia solo legato ai singoli individui, ma che interessi il sistema di vita privata e professionale in genere, dettati da stress, ritmi troppo incalzanti e grosse responsabilità. Fattori difficili da gestire, soprattutto se concomitanti.
Chi incorre nella sindrome di Burnout cerca di rimanere il più possibile lontano dal lavoro e dalle relazioni interpersonali che esso obbliga ad avere. O le vive in modo passivo. Nei casi più gravi invece si può arrivare a delle vere e proprie esplosioni di collera, a fare delle scenate insolite, all’abuso di sostanze psicoattive, di stupefacenti e alcol. Tale sindrome è stata riferita ad esempio al pilota tedesco Andreas Lubitz autore dello schianto dell’Airbus A320 di Germanwings sulle Alpi nel 2015, costato la vita a 150 persone.
E’ sicuramente molto importante la sua cura sia farmacologica che psicologica. D’altro canto, lo è ancora di più la prevenzione specifica.
Spesso il lavoro arriva a richiedere il raggiungimento di obiettivi molto grossi che non permettono di vedere risultati a breve termine e ciò diventa scoraggiante. Soprattutto se vi associamo la mancanza di riposo, la frustrazione, il non poter condividere con altri il disagio e la fatica.
Il senso di solitudine e lo sconforto per gli obiettivi da raggiungere fanno parte degli eventi che potrebbero scatenare la sindrome. Se vi aggiungiamo una vita privata difficile, il risultato negativo è quasi d’obbligo.
Talvolta si evita di chiedere aiuto per vergogna, o perché convinti di potercela fare da soli, o al contrario perchè sicuri di non avere speranze di risolvere le situazione.
In realtà tutto può essere risolvibile se i datori di lavoro sono attenti ai propri dipendenti, se i lavoratori stessi riescono a prendere delle pause dalla frenesia lavorativa e a prendersi cura di se stessi in generale. Se ai primi segnali di allarme ci si rende conto di non riuscire da soli e quindi si chiede l’aiuto di professionisti o almeno se si condivide con qualcun altro il malessere per poi venire indirizzati a chi di dovere. Per tutto questo, naturalmente occorre riconoscere di avere un problema e non sottovalutarlo.