“Vietato stare in pigiama e sprecare briciole di pane”: le regole raccapriccianti imposte alla moglie
Umiliata dalle regole del marito, ora la donna aiuta altre vittime di maltrattamento mentre l’uomo è stato condannato a tre anni. L'elenco delle assurde prescrizioni
Foto ansa-i-stock
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Ha dovuto vivere per anni in casa con un marito che la costringeva a rispettare regole assurde e di ferro, come quelle di non sprecare le briciole quando si spezza il pane o di non bere lo zabaione perché è da vecchi. Ora che, dopo quindici anni di maltrattamenti, il marito è stato condannato dal tribunale di Torino a tre anni, la donna, una cinquantenne torinese, ha aperto una pagina Instagram per dare consigli e forza alle donne "vessate e umiliate". "Anche la domenica dovevamo svegliarci presto e cambiarci, non potevamo stare in pigiama, perché era segno di pigrizia. E poi era tutta una correzione", racconta in un'intervista al Corriere della Sera.
Vietati pure vin brulè e zabaione
"Il budget di casa era deciso da lui, non si poteva sgarrare, neppure davanti a un tavolino dell'Ikea. Sforavamo quel maledetto budget", dice ancora. Anche se, grazie ai lori stipendi, avevano una buona situazione economica e avevano messo da parte circa 50.000 euro. Le regole imposte dal marito, ne tratteggiano «l’atteggiamento controllante, umiliante e aggressivo» durante e dopo il matrimonio, poi finito in tante denunce, un processo e la condanna a tre anni di reclusione (sostituiti in detenzione domiciliare) per stalking, maltrattamenti (anche davanti alle figlie minorenni), danneggiamento e accesso abusivo alla mail della ex.
L’elenco delle assurde regole
Le motivazioni della sentenza, firmata dal giudice estensore Milena Chiara Lombardo, sono eloquenti: «Condotte aggressive e persecutorie, per un caso di maltrattamenti a 360 gradi: non bisogna soffermarsi solo sugli episodi di violenza fisica». Basta leggere l’elenco di prescrizioni trasformate in vessazioni: «il divieto di mangiare carne di cavallo al sangue, perché “ero un animale se la mangiavo così”; il divieto di bere il vin brulè o di mangiare lo zabaione d’inverno, “perché era un atteggiamento da vecchi”; di mettere il liquore nel gelato; di sedersi sul divano a sera a riposare mentre il marito lavava i piatti, unica attività domestica di cui si occupava perché non voleva acquistare una lavastoviglie».
“Niente spuntini, sei grassa”
O ancora, c’era «il divieto di rimanere in pigiama, a casa, la domenica mattina», come aveva raccontato la donna, durante il dibattimento: «Non potevamo stare in pigiama perché era segno di pigrizia». Si sconfinava nella paranoia: «Anche il modo in cui tagliava il pane o sbucciava il salame non era “consono”, perché provocava sprechi; continui erano poi i riferimenti al fatto che era “grassa”, motivo per cui non poteva fare degli spuntini tra pranzo e cena».
I tempi lunghi per la condanna
Alla domanda su come è stato il processo, risponde che è stata "una sofferenza. Il mese prima della sentenza, mi dicevo: chissà cosa dirà il giudice e come la prenderò io". "Adesso tanti mi chiedono: sei contenta? E come faccio? Il riassunto è comunque una storia triste". Ma ne è valsa la pena, afferma: "Mi sono sentita compresa e confortata. Sa, sono andata a vedere sul vocabolario, e sotto 'compresa' c'è anche l'abbraccio". "I tempi uccidono", continua. "Dalla prima denuncia alla sentenza di primo grado sono passati cinque anni, nonostante il codice rosso". "Spesso, dietro le storie di maltrattamenti c'è una data di morte, della donna. Dopo la denuncia, bisogna sapere che ci può essere senso di smarrimento. Si parla sempre di ghosting nelle relazioni, beh, anche lo Stato lo fa: dice di fare denuncia, ma poi ti abbandona, la pratica si perde tra i labirinti della burocrazia", conclude la cinquantenne.