Non solo spettacoli, al Teatro Nazionale di Genova anche prodotti dell'orto per i poveri. La storia unica al mondo

L’idea nasce da Davide Livermore. Darà i prodotti a chi ne ha bisogno. “Lo scopo principale – raccontano il regista di opere liriche e Toti - è quello di conferire dignità e autonomia a un luogo che produce contenuti meravigliosi”. Inoltre a teatro verrà venduta acqua naturale e frizzante a buon prezzo, filtrata 40 volte rispetto all’acqua dei rubinetti genovesi

di Massimiliano Lussana

Il Teatro Nazionale di Genova, che per moltissimi versi si consolida sempre più come primo teatro in Italia -  primo sempre più per importanza, per storia, per programmazione, per qualche spettacolo anche per i numeri – diventa anche il primo teatro al mondo.

Il primo teatro al mondo a produrre verdura con un orto biologico sulle due terrazze, nell’ambito del restyling della sede che trasformerà un palazzo anni fine anni Ottanta, anzi per la precisione inaugurato nel 1991, molto innovativo per l’epoca, ma che oggi chiaramente sente l’ingiuria degli anni, in un gioiellino architettonico. E soprattutto un orto biologico che darà le verdure e il cibo a chi ne ha più bisogno.

L'idea

L’idea nasce da Davide Livermore che - oltre ad essere universalmente riconosciuto il numero uno al mondo nella regia di opere liriche ed essere senza dubbio alcuno il numero uno al mondo anche nella regia di tragedie greche, tanto da aver battuto ogni record di incassi nei suoi allestimenti di Elena di Euripide prima e nella trilogia dell’Orestea a Siracusa, con Coefore-Eumenidi e Agamennone, e tantissimo altro (il suo “Grounded” con una straordinaria Linda Gennari è quanto di più simile a una crasi fra le tragedie greche e il teatro contemporaneo o la sua “Maria Stuarda” di Schiller è qualcosa che mai avevo visto prima a teatro) - è il direttore del Teatro Nazionale.

Ma il punto qui è che Livermore, oggi è il maggior intellettuale italiano e come intellettuale vive nel mondo, completamente immerso nel mondo: e quindi gioca con le tecnologie, firma divertissement come la suite per Adelaide Ristori, firma scene e costumi per il Govi di Tullio Solenghi record di incassi e – e qui siamo alla questione odierna – è uno dei motori anche architettonici di questa storia.

Insomma, Livermore da anni collabora con Gio’ Forma, che è anch’esso eccellenza mondiale nella progettazione teatrale, tanto da aver realizzato un teatro nel deserto arabo e dall’incontro fra queste due eccellenze è scoccata la scintilla: le due terrazze della storica sede del teatro riadattate a orti biologici, quasi una versione 4.0 dei giardini pensili di Babilonia: “Ciò che produrremo – spiega Livermore a Tiscalinews – lo destineremo a chi ha più bisogno. E c’è anche un’ulteriore evoluzione del progetto che potrebbe vedere il consumo di una parte della produzione da parte di chef stellati partner che potrebbero così spiegare sui menù che le loro materie prime vengono dalla terrazza di un teatro Nazionale”.

Marchi di fabbrica

Del resto, il verde, la sostenibilità e l’anima green sono uno dei marchi di fabbrica del Teatro Nazionale di Genova: l’immagine della stagione 2022-2023, firmata da Simona Ghizzoni, è una colazione sull’erba, un vero e proprio prato portato in palcoscenico, con gli studenti della scuola di recitazione intitolata a Mariangela Melato e diretta da Elisabetta Pozzi, in un trionfo di eccellenza femminile a contrappuntare l’erba.

Ma, nel suo viaggio alla ricerca degli obiettivi dell’Agenda ONU 2030, e all’arcobaleno di Human Pride che è il colore, anzi sono i colori di riferimento del Teatro Nazionale di Genova, Livermore ha anche un altro jolly da giocare: a teatro verrà venduta acqua naturale e frizzante dai 5 ai 15 centesimi al litro, filtrata 40 volte rispetto all’acqua che sgorga dai rubinetti genovesi, già di buona  qualità, e la offrirà ai cittadini a questo prezzo grazie a una sponsorizzazione da cui il mecenate non si aspetta ritorno: “Quando si parla di sostenibilità, il guadagno non è immediato, ma diluito come l’acqua”.

Il contributo della regione

In tutto questo Regione Liguria finanzia con un milione e mezzo di euro il nuovo rivestimento esterno della sede, intitolato a Ivo Chiesa, uno dei padri del teatro italiano. E Giovanni Toti, che della Regione è presidente, ma anche assessore alla Cultura che sta prendendo molto sul serio questa delega, ne fa anche una questione di rigenerazione urbana.

A nessuno sfugge che questa è proprio la zona dove, poco più e poco meno di dieci anni fa, e poi prima ancora, il Bisagno è esondato due volte portandosi dietro morte e distruzione in interi quartieri della valle che prende il nome dal fiume. Ma in quei giorni, entrambe le volte, esattamente come nell’alluvione del 1970, ci furono gli “angeli del fango” e le magliette “Non c’è fango che tenga” e “Ancora una volta non c’è fango che tenga” che sono quasi la migliore immagine di questo popolo, a volte cialtrone, ma che nelle difficoltà è alto e nobile e dà il meglio di sé, lavorando senza risparmiarsi.

Insomma, spiega Toti, la nuova facciata del Teatro Nazionale, rivoluzionaria, andrà ad innestarsi in uno spazio che era il greto del fiume che va dalla Foce del Bisagno con il nuovo parco urbano voluto da Renzo Piano a completamento del Waterfront di Levante con diecimila alberi, le aiuole tornate allo splendore degli anni Sessanta, e poi la nuova area della stazione Brignole, il nuovo Sky Metro leggero verso la Valbisagno e ovviamente lo scolmatore che è il più grande intervento di protezione civile degli ultimi anni.

Warping

Tecnicamente, l’intervento – dalla facciata agli orti biologici per chi ha bisogno – si chiama warping, cioè rivestimento, della facciata e l’obiettivo è quello di trasformare il teatro in un’architettura autonoma rispetto a quella del contesto di Corte Lambruschini degli anni Novanta: “Lo scopo principale – raccontano Livermore e Toti - è quello di conferire dignità e autonomia a un luogo che produce contenuti meravigliosi”.

E tutto questo è declinato anche nella forma del sipario che sarà il nuovo biglietto da visita del Teatro Nazionale di Genova con tre linguaggi uniti: il teatro, cioè il sipario della scena teatrale, reso con tante lamelle, Genova simboleggiata dalle tele nautiche (il Salone Nautico è a cinque minuti a piedi) e Ivo Chiesa, a cui è intitolato il teatro, con un parallelo con la sua rivista, anch’essa intitolata “Sipario”.

“Il teatro – spiega Livermore – diventa un riflettore catarifrangente, un’essenza di aggregazione visiva, un oggetto che comunica un’invasione urbana distinguibile dal contesto”. E la parola “catarifrangente” va intesa proprio in senso letterale, visto che l’ingresso sarà totalmente pieno di specchi con gli spettatori che diventano a loro volta protagonisti.

Insomma, per Toti tutto questo sarà l’ennesimo tassello che porterà Genova ad essere un luogo di destinazione per chi ama la cultura e questo intervento è un ulteriore segno del rinascimento genovese, “perché la cultura non è una monade e penso a percorsi che coinvolgano il Teatro Nazionale, il Carlo Felice, Palazzo Ducale e tutta la città”.

Il sogno

Il sogno è di vedere i lavori finiti prima di Natale 2023, magari per il 7 dicembre: “Sarà la nostra prima della Scala” dice il presidente della Regione.

Davide Livermore, accanto, sorride. Lui di Sant’Ambrogio scaligeri ne ha firmati quattro di fila, trionfali e che l’allestimento di quest’anno, il primo senza di lui da un lustro, ha ulteriormente dimostrato il valore aggiunto del suo lavoro, peraltro chiarissimo. Giorgio Strehler, per dire, si era fermato a tre.