Il suicidio di un pediatra accusato di pedofilia e il rispetto per la morte

Il medico, che poi si è tolto la vita, era sotto accusa per 18 casi di violenza sessuale e per detenzione di materiale pedo-pornografico

di Giavanni Maria Bellu

E’ sabato 9 luglio quando Alberto Flores d’Arcais, 61, primario di pediatria dell’ospedale di Legnano, piomba nell’incubo.  I carabinieri gli notificano un’ordinanza di custodia cautelare agli arresti domiciliari emessa dalla Procura di Busto Arsizio. L’accusa è di aver compiuto atti sessuali con dei suoi piccoli pazienti. Gli episodi contestati sono diciotto, alcuni riguardano bambine molto piccole.  Si sarebbero verificati a partire dal 2008, sempre all’interno dell’ospedale. La notizia è sconvolgente. Fino a quel giorno Flores d’Arcais era noto per il suo rigore professionale, per il suo impegno. Ha partecipato nel 2001 a missioni umanitarie in Iraq e nel 2005 nel sud est asiatico. I colleghi sono increduli. Gli inquirenti sono certi della fondatezza e della gravità del quadro accusatorio.

Archiviazione per morte del reo

Passano nove settimane. E’ il 3 settembre, ancora una volta sabato. Poco dopo le 7 del mattino, Flores d’Arcais apre la finestra del suo appartamento-prigione di Milano e si lancia dal sesto piano.  Muore sul colpo. Lascia su un foglio A4 un messaggio indirizzato ai familiari - “'Perdonatemi, vi amo'-  e altre dieci buste chiuse con altrettante lettere indirizzate ad amici e colleghi che vengono sequestrate su ordine della magistratura. L’inchiesta, comunque, è chiusa. Tecnicamente si parla di “archiviazione per morte del reo”.

Il materiale pedopornografico nel pc

Ma passano poche ore e, sempre nella giornata di sabato, il procuratore capo di Busto Arsizio, Gianluigi Fontana, incontra i giornalisti. Esprime cordoglio alla famiglia, ma sente la necessità di chiarire che il quadro accusatorio si era pesantemente aggravato.  L’esame dei computer sequestrati nell’abitazione il giorno dell’arresto ha consentito di individuare numerosi file di materiale pedopornografico. File che qualcuno, presumibilmente lo stesso pediatra, aveva tentato maldestramente di cancellare formattando l’hard disk.  Il procuratore fa sapere che della scoperta erano stati informati i difensori, quindi lo stesso Flores d’Arcais ne era a conoscenza, che avevano provveduto a nominare un consulente di parte.

La conferenza stampa imprevista

Il quarto e ultimo atto della tragica vicenda è di martedì. In una lettera al “Corriere della Sera”, la famiglia del pediatra esprime sconcerto “per il comportamento della Procura che quando ancora nessuno di noi era stato informato, ha sentito il bisogno di indire una conferenza stampa divulgando notizie che avrebbero dovuto essere segrete, visto che erano state comunicate solo in via generica all’avvocato che non aveva ancora potuto prenderne visione, impedendo qualsiasi forma di difesa, gettando altro fango sulla reputazione di Alberto”.

Il ricordo della famiglia del pediatra

La famiglia ricorda Alberto Flores d’Arcais come “uomo onesto, integerrimo”. Un uomo che “adorava il suo lavoro a cui ha dedicato tutta la vita, tutto il suo tempo e le sue energie”. “Un uomo intelligente, acuto, competente, amato da colleghi e pazienti dai quali ancora riceviamo attestati di stima e incredulità». Flores d’Arcais, sottolineano ancora i familiari,  “adorava le sue figlie, Elena e Sveva, a loro ha insegnato l’importanza dell’impegno, del sapere, dell’onestà morale e dell’etica del lavoro. Elena e Sveva sono due giovani donne che hanno imparato tutto ciò dal loro papà e continueranno a perseguire tutto quello che lui ha lasciato in eredità e in questo Alberto ha ottenuto il suo più grande successo”.

Lo sconcerto dei famigliari delle vittime

Parole strazianti, di amore puro, che suoneranno stonate ai familiari delle bambine che, secondo l’accusa, Flores d’Arcais aveva molestato sessualmente. E che di certo hanno trovato, nella notizia della scoperta dei file pedopornografici, una conferma forse definitiva dei loro sospetti. Che, però, con la chiusura dell’inchiesta, sono destinati a restare per sempre tali. L’indagine è finita, appunto, con la “morte del reo”. Non ci sarà mai la parola “colpevole”, né la parola “innocente” nella biografia di Alberto Flores d’Arcais.

Le visite oggetto del caso svolte tutte in presenza dei genitori

E’ impossibile – ed è anche un esercizio poco rispettoso – indagare sulle cause di un suicidio. Con gli stessi argomenti, lo si può considerare una sorta di “confessione” o il gesto di un uomo disperato che, benché convinto di essere innocente, si è reso conto che sarebbe stato impossibile dimostrarlo. Sulle modalità delle visite mediche (tutte svolte in presenza dei genitori, che non si erano mai accorti di nulla) si poteva discutere. Su quei file nel computer molto meno. Sì, è ragionevole pensare che la decisione di compiere il gesto estremo sia stata innescata proprio dalla scoperta di quelle fotografie disgustose.

Pena di morte autoinflitta

Suicidandosi Flores d’Arcais ha applicato a se stesso il massimo della pena. Una pena non prevista dall’ordinamento italiano. E, a partire da questa constatazione, si comprende lo sconcerto della famiglia per il comportamento della Procura. Quell’uomo ha spento se stesso per chiedere il silenzio. Non c’era alcuna necessità di convocare i giornalisti per ribadirne la colpevolezza. Nessuno, davanti a quanto già era emerso, avrebbe mai potuto accusare i magistrati di aver fatto qualcosa di diverso dal loro dovere. Adesso, con tutto il rispetto, il dubbio di un eccesso sorge.  Davanti alla morte è sempre opportuno tacere.