Stupro di gruppo, il giudice li assolve anche se lei gridava "smettetela". La motivazione fa scoppiare la polemica
Assolti dopo lo stupro di gruppo, per il giudice «valutarono male il consenso». Eppure lei disse: «Smettetela»
Sono stati assolti a Firenze dall'accusa di stupro due giovani che all'epoca dei fatti avevano 19 anni, perché hanno, secondo le motivazioni scritte nella sentenza avuto un’errata percezione del consenso della ragazza che li ha denunciati.
La collega Ilaria Bonuccelli che di questi casi assurdi ci ha scritto ben due libri, sul quotidiano il Tirreno ha raccontato la vicenda che ha portato all’assoluzione di due ragazzi accusati di stupro di gruppo.
Nella sentenza si legge:
“I due imputati, che all’epoca dei fatti avevano 19 anni, non sono punibili per errore sul fatto che costituisce il reato”. Avrebbero sbagliato a considerare valido il consenso della presunta vittima in una situazione in cui lei, ubriaca, non era nelle condizioni di manifestarlo.
Si parla quindi di percezione errata che, a detta del giudice, "se non cancella l’esistenza oggettiva di una condotta di violenza sessuale, impedisce di ritenerla penalmente rilevante". Perché continuano “Non essendo il delitto di violenza sessuale punito a titolo di colpa, non può essere considerato rilevante ai fini di una residua affermazione di responsabilità penale”.
Questo Paese non guarisce dalla cultura dello stupro
Stando a quanto emerso durante il processo e riportato dal quotidiano toscano, l'assoluzione poggia su basi che potevano emergere negli anni 50, non oggi. Si legge infatti che in passato la ragazza aveva avuto rapporti con uno dei due giovani, anche in presenza di altre persone, circostanza che avrebbe portato gli imputati a dare per scontato il suo consenso. Si legge nella sentenza di assoluzione dei due imputati dall’accusa di violenza sessuale di gruppo, le cui motivazioni sono state pubblicate di recente. Il giudice che li ha processati in rito abbreviato ha anche delineato il profilo dei due imputati, che sarebbero “condizionati da un’inammissibile concezione pornografica delle loro relazioni con il genere femminile, forse derivante di un deficit educativo e comunque frutto di una concezione assai distorta del sesso”. Quella sera era stato coinvolto anche un minorenne, che in un altro procedimento ha ottenuto la messa alla prova.
Il commento sulla vicenda di Carlotta Vagnoli, scrittrice e attivista femminista
Nelle ultime settimane abbiamo assistito alla pubblicazione di sentenze innegabilmente sessiste. Quella dei “10 secondi”, quella sulla mancanza di autostima della vittima (entrambe tribunale di Roma), lo sconto di pena al femminicida di Carol Maltesi poiché lei avrebbe avuto una condotta -cito- disinibita, quest’ultima del tribunale di Firenze. Le decisioni prese dai giudici sono, come ricorda in un’intervista Maria Bonaventura -giudice delle due preoccupanti sentenze del tribunale di Roma- responsabilità di chi le emette, che deve godere di autonomia e indipendenza. E fin qui non ci piove, ragionamento a prova di scemo. Ma continuare a ignorare che serva una formazione a giudici e magistrati sui reati derivanti dalla cultura dello stupro è da criminali. Tutte queste sentenze fanno emergere una totale, preoccupante ignoranza sul concetto stesso di consensualità. Ignorano anche come la matrice di questi reati sia il possesso, non la confusione, non la goliardia, non l’essere disinibite. La giurisprudenza viene fatta da persone, cresciute anch’esse in una società patriarcale. Senza scardinare preconcetti universali, non si otterranno mai sentenze scevre da questa visione sessista e colpevolizzante. Pochi mesi fa, in preda alla foga da esposizione mediatica, i ministri Nordio, Piantedosi e Roccella hanno presentato un ddl che avrebbe dovuto aumentare le tutele verso le donne vittime di violenza. Nel ddl mancava però la formazione a FFOO, magistrati e soccorritori, essenziale -con l’educazione nelle scuole, partendo dalla primaria- per riformare una cultura che ad oggi non solo non riconosce la violenza sulle donne, ma colpevolizza anche chi denuncia o chi ne è vittima. Senza prevenzione e formazione questo ddl è l’ennesimo orpello di un governo che ha parecchia voglia di misurarsi gli attributi per dimostrare di averceli più lunghi degli altri. E questo, oltre ad essere un atteggiamento preoccupantemente patriarcale, non salverà la vita a nessuna donna e disincentiverà tante altre a denunciare e cercare protezione in uno Stato che si dimostra di nuovo connivente con la violenza maschile contro le donne.