“Stuprata in carcere”: l'audio shock della reporter Nazila Maroufian. Lo sciopero della fame e la mobilitazione
La rivelazione arriva dal carcere di Teheran dove la giovane donna si trova "per propaganda contro il sistema" eporter sta facendo lo sciopero della fame. Gli attivisti iraniani: “Torneremo in piazza per Mahsa a un anno dalla sua uccisione”
"Rivelo questo abuso per me stessa e per tutte le donne che sono state soggette a violenza fisica e abusi sessuali durante il loro arresto, in stazioni di polizia e prigioni, e hanno paura di parlarne". Sono le parole con le quali la giornalista iraniana Nazila Maroufian ha denunciato di essere stata stuprata in carcere dalle forze di sicurezza e ha iniziato uno sciopero della fame in segno di protesta. Si tratta della prima testimonianza diretta dell’uso degli stupri in carcere da parte delle forze di sicurezza iraniane per punire chi, a quasi un anno dall’uccisione di Mahsa Amini, ancora protesta.
Condannata per "propaganda contro il sistema"
Durante una telefonata, il cui audio è stato pubblicato sui social media, dal carcere di Evin a Teheran, Maroufian ha detto: "Hanno abusato di me mentre mi trovavo nelle peggiori condizioni perché ero stata attaccata a casa mia mentre mi arrestavano mercoledì scorso". La reporter 23enne era stata incarcerata in novembre per avere intervistato il padre di Mahsa Amini, la 22enne di origine curda che ha perso la vita dopo essere stata messa in custodia dalla polizia morale perché non portava il velo in modo corretto. Maroufian era stata condannata per "propaganda contro il sistema" e "diffusione di notizie false" e rilasciata su cauzione a metà agosto ma è stata nuovamente incarcerata, a soli 15 giorni dal rilascio, per avere pubblicato sui social media una fotografia che la ritraeva senza il velo, obbligatorio nella Repubblica islamica fin dalla sua fondazione. Dopo la morte di Mahsa Amini, il 16 settembre scorso a Teheran, si sono susseguite per mesi proteste anti governative che sono state regolarmente represse dalle forze dell'ordine.
Gli attivisti iraniani: “Torneremo in piazza per Mahsa Amini”
Mancano 10 giorni al primo anniversario della morte di Mahsa Amini e il regime iraniano teme nuove manifestazioni. "La mia gente si sta preparando a iniziare nuove dimostrazioni con più forza ancora rispetto all'anno scorso". Kamal Pishvand non parteciperà alle proteste in programma nel primo anniversario della morte della 22enne iraniana di origine curda che ha perso la vita il 16 settembre dello scorso anno dopo essere stata messa in custodia dalla polizia morale a Teheran perché non indossava correttamente il velo. L'uomo di 41 anni è fuggito in Turchia, dove ancora si trova, dopo avere preso parte nel 2022 all'ondata di manifestazioni di piazza anti governative che iniziarono non appena si diffuse la notizia della morte della giovane e andarono avanti per mesi. "Ogni giorno, ogni ora proveremo a fare nuovi passi per arrivare alla vittoria finale", dice Pishvand, spiegando che gli attivisti in Iran tenteranno di manifestare il loro dissenso verso la Repubblica islamica nelle prossime settimane, in occasione del tragico anniversario.
Nuove torture
Originario di Mahabad, città del Kurdistan iraniano non distante da Saqqez, il luogo di nascita di Mahsa Amini, Pishvand è stato colpito da un proiettile di gomma mentre partecipava alle manifestazioni dello scorso anno e per questo ha perso la vista dall'occhio sinistro. "Il 12 ottobre del 2022 sono stato colpito da una raffica di colpi da parte delle forze della repressione e ho perso l'occhio. Sono stato arrestato il 24 ottobre e rilasciato su cauzione. Anche mio figlio era alle dimostrazioni, ha 14 anni ed è stato incarcerato per 10 giorni. Ci hanno fatto pressioni dicendo che ci avrebbero riportato in prigione. Non mi sentivo più sicuro nel Paese e per questo con mio figlio ho deciso di lasciare l'Iran", racconta l'attivista. Il suo caso è documentato, insieme a quello di altre 78 persone che hanno perso la vista durante la repressione dello scorso anno, sul sito dell'Associazione internazionale dei medici e dei lavoratori sanitari iraniani (Iipha), un'organizzazione non profit con sede negli Usa formata da membri della diaspora iraniana. Nella lista compaiono persone tra i 16 e i 59 anni ed è presente anche una bambina di 6. Nella maggior parte dei casi, sono rimasti ciechi a causa di colpi di pallottole di gomma o candelotti lacrimogeni.
Attivisti in costante pericolo
"Gli scontri furono durissimi", afferma Pishvand ricordando le manifestazioni che in tutto il Paese furono sistematicamente represse. Secondo Hrana, l'agenzia degli attivisti dei diritti umani iraniani, durante le proteste sono morte almeno 481 persone, tra cui 68 minori, mentre oltre 18mila sono state arrestate. Secondo le organizzazioni per i diritti umani, sono decine i manifestanti condannati a morte, mentre almeno 7 sono già stati impiccati. "Ovviamente abbiamo paura", ammette l'attivista. "Il governo sta già tentando di impedire le proteste. Molti attivisti vengono arrestati e quelli già in carcere vengono trasferiti in altre prigioni. Il regime minaccia le vittime della repressione dello scorso anno e le famiglie di quelli che sono rimasti uccisi durante gli scontri", continua Pishvand.
Arresti continui
In queste settimane, è stato denunciato l'arresto di parenti di manifestanti arrestati o morti durante i cortei e anche il licenziamento di alcuni professori nelle università dove lo scorso anni si tennero proteste. Ieri è stato messo in custodia Sara Aeli, lo zio di Mahsa Amini: non sono stati chiariti i motivi dell'arresto, ma molti attivisti ritengono che sia legato all'avvicinarsi dell'anniversario della morte di sua nipote. La famiglia di Amini aveva da subito contestato la versione ufficiale sulla morte della figlia, secondo cui Mahsa ha perso la vita per un attacco di cuore a causa di una malattia di cui aveva sofferto da bambina. I parenti della vittima ritengono che Mahsa sia stata colpita violentemente alla testa mentre si trovava in custodia e alcune giornaliste sono finite in carcere per averli intervistati. Proprio come Nazila Maroufian imprigionata dopo avere intervistato il padre di Amini. Le dure critiche da parte dei Paesi europei per la repressione delle proteste sono state sistematicamente respinte da Teheran, mentre diversi cittadini europei si trovano ancora nelle carceri della Repubblica islamica. Tra loro, lo svedese di 33 anni Johan Floderus, diplomatico al lavoro con l'Ue, in carcere nella Repubblica islamica da oltre 500 giorni dopo essere stato arrestato pare con l'accusa di "spionaggio" mentre si trova in vacanza in Iran con gli amici.