Storia di Grazia, sopravvissuta alla violenza: “Voglio parlare per chi non c’è più e per chi è chiusa in casa'. I consigli

“L’importante – dice – è chiedere aiuto e rompere la gabbia mentale”. Confessa di essere “assettata di vita”, perché prima “vita non era”. La denuncia e la sua resurrezione. “Le istituzioni ti possono aiutare”, afferma. Il ruolo dei centri anti violenza

di Redazione

In questo giorno particolare per le donne - la Giornata internazionale per l'eliminazione della violenza, istituita dall'Assemblea Generale delle Nazioni Uniteracconta la sua storia, nella speranza di dare un aiuto ad altre che si potrebbero trovare nella situazione in cui si è trovata lei. “L’importante – raccomanda – è chiedere aiuto e rompere la gabbia mentale”.

L'intervista

Quella riportata dall’Ansa, che ne trasmette il video celando il volto di Grazia (il nome ovviamente è di pura fantasia) e tutelandone l’identità, è una intervista ad una donna che ha subito violenza, ma anche un paradigma applicabile a chiunque si trovi a dover affrontare quel Calvario. “Sono una sopravvissuta – esordisce – e adesso mi sento in metamorfosi, in piena trasformazione”.

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Confessa di essere “assettata di vita”, perché prima, la sua, “vita non era”. Del resto “la violenza diventa qualcosa cui ti abitui, qualcosa che alla fine ti sembra normale”. Arriva a piccole dosi, passa per piccoli episodi che bisognerebbe imparare a riconoscere. “Basta un bicchiere messo male, un modo di fare particolare” e sgorga improvvisa. Mio marito prima non sembrava essere così – racconta – 15 anni fa, quando l’ho conosciuto non dava a vedere che in lui poteva albergare quello che poi è emerso”. Per questo consiglia alle donne di osservare bene.

Il sintomo

“Il sintomo può essere saltuario. Magari pensi sia qualcosa di un giorno, legato a una giornata storta, e lasci perdere. Poi però i segnali divengono più frequenti. Per me tutto era divenuto momento scatenante: il vestito che indossavo, il mio modo di camminare. E gli attacchi si svolgevano anche davanti agli altri, magari al centro commerciale”. E spesso, racconta la donna “non ero sola, con me c’erano le bambine”. E non era bello che assistessero.

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'Sempre peggio'

Poi le cose sono andate via via peggiorando. “In estate eravamo in vacanza – continua Grazia – ed è arrivato quello schiaffo”. Violento e cattivo. Un momento decisivo, pericoloso, perché “se lo accetti stai fornendo un nullaosta che autorizzerà lui a continuare. Da agosto a dicembre – racconta – c’è stata una vera escalation. Ho preso dei brutti colpi e sono stata perfino ricoverata in ospedale”.

'Chiedere aiuto'

Aveva molta paura Grazia, lo ammette. Oggi dice: “Ringrazio il Signore per essermi salvata. Consiglio alle donne che ne hanno bisogno di chiedere aiuto, da sole non ce la possiamo fare”. Poi fornisce l’ultima parte della sua testimonianza: “Quando sono tornata a casa lui non mi ha fatta entrare. E con me c’era la mia figlia più grande. Ha provato ad entrare prima lei, ma non c’è stato verso”.

La denuncia

A quel punto “ho presentato la denuncia”, ed è iniziato un “percorso doloroso”. Si, perché con la denuncia “si apre un mondo sconosciuto e complesso. Talvolta lacerante. “Rendi pubblico il tuo problema, e non è semplice” Per fortuna però “scopri anche che le istituzioni ti possono aiutare”. Le forze dell’ordine, per esempio, hanno la capacità di instradarti dove possono darti una mano. “Mi hanno avviato ai centri antiviolenza”, dice Grazia che oggi è in una situazione certamente migliore di prima. Solo una domanda, lo confessa, continua incredibilmente a frullarle in testa: “Perché io mi sono salvata ed altre no?