Storia di Ukmina: costretta a diventare uomo e poi schiava dice no al burqa, diventa guerrigliera e lotta per le donne
Ukmina Manoori, undicesima nata di una famiglia afghana senza figli maschi viene costretta a diventare una Bacha posh, una bambina travestita da uomo. Poi è destinata al matrimonio ma lei sceglie di continuare a vestirsi da uomo e diventa una guerrigliera. Ora, stimata da tutti, difende i diritti delle donne. La sua storia è diventata anche un libro
La storia di Ukmina Manoori è triste e affascinante allo stesso tempo. E’ quella di una donna cui vengono negate la propria natura, la sessualità, la personalità e la libertà. Ma è anche una struggente storia di lotta e redenzione. Nata in una famiglia dell’Afghanistan Ukmina va subito incontro a un triste futuro. In quel tribolato Paese infatti il nucleo familiare privo di figli maschi può crescere la figlia femmina come fosse un bambino. Tutto sulla base di una tradizione antichissima tollerata dai mullah talebani. Sono molti, di conseguenza, le bacha posh – le “bambine vestite da maschio” – destinate a vivere nei primi anni e nella fanciullezza una vita che non dovrebbe essere la loro.
E’ il prezzo da pagare alla povertà e all’ignoranza di famiglie che trovano disdicevole non avere figli maschi, credono di scongiurare la malasorte sui figli futuri e hanno bisogno di braccia da utilizzare per i duri lavori necessari al sostentamento.
Un destino oltremodo crudele
Il destino delle bacha posh però è oltremodo crudele, perché intorno ai 14 anni queste ragazze sono costrette a svestire gli abiti maschili e indossare il burqa. Ad essere consegnate a un marito, spesso molto più grande di loro, e diventare – loro malgrado – mogli servizievoli, obbedienti, devote e pronte a fare figli. E’ questa l’esistenza riservata a tutte le donne afghane ed è quella che aspettava Ukmina una volta giunta sulla soglia della pubertà. Condannata prima a una vita da maschio e in seguito ad una da “invisibile”, all’insegna dell’oppressione e dentro la prigione di quattro mura domestiche.
Nata in una zona di confine dell’Afghanistan, con la dannazione di essere l’undicesima dopo 7 femmine e 3 maschi morti prematuramente, era destinata a diventare il figlio maschio invano cercato. Ukmina Manoori tuttavia non era una donna qualunque. Suo padre un giorno aveva sentenziato: “Tu sarai un maschio, figlia mia”. Poi le cambiò il nome ma non riuscì a cambiare la sua personalità, a spezzarne la volontà. Hukomkhan la denominò, ovvero “uomo che dà ordini”. La costrinse a portare le pecore al pascolo, a giocare a pallone, a vestirsi con abiti da uomo. Unico aspetto positivo: poter parlare da pari a pari con gli uomini, poter fare commissioni e altre azioni proibite alle donne.
"Assaporato la libertà degli uomini"
Forse anche questa possibilità di esprimersi contribuisce a rinforzare il suo anelito alla libertà. Così quando arriva l’età della pubertà la ragazza dice no. No a trasformarsi in una schiava. No a rinunciare alla sua personalità. Sì all’autodeterminazione. “E’ troppo tardi”, ricorda di aver pensato. “Ho assaporato la libertà degli uomini, ho visto le ragazze della mia età scomparire dalle strade e diventare invisibili. Per me non è più possibile tornare indietro. È troppo tardi”. No, Ukmina non può accettare di trasformarsi in un fantasma. Ci saranno dei prezzi da pagare, frammenti dell’anima da sacrificare, ma varrà la pena, in cambio, di assaporare la libertà. E poi, rimanendo uomo, conservando la possibilità di agire e decidere, potrà perfino aiutare le donne affinché possano smettere di nascondersi, cominciare ad esistere.
Nasce la sua leggenda
La sua vita a quel punto diventa leggenda. Ha 16 anni quando manda al diavolo il marito che le hanno scelto e il matrimonio che l’attende. La volevano maschio? E da maschio continuerà a comportarsi. In quel momento il suo Paese, perennemente preso di mira da poteri stranieri, è in lotta contro l’invasore di turno: quello sovietico. Sceglie di fasciarsi il seno, di continuare a usare gli abiti maschili che le hanno fatto indossare, e raggiunge i mujaheddin sulle montagne. Per sei lunghi anni Ukmina combatte come una tigre al loro fianco, conquistandosi onori e rispetto.
Ritornata alla vita civile, nel 2009, l’ex guerrigliera viene eletta nel Consiglio provinciale dell’entità territoriale di cui fa parte la sua città. Giunta a una certa età la coraggiosa ribelle, rispettata e stimata dalle donne e dagli uomini che ne hanno conosciuto la storia, è divenuta una tenace alfiera dei diritti delle donne afghane. La sua incredibile storia è diventata anche un bellissimo libro: Le bambine non esistono (ed. Libreria Pienogiorno) scritto insieme alla giornalista francese Stéphanie Lebrun (traduzione di Maria Moresco).