Mamme, amiche di vip, fidanzate di, chiamate in qualsiasi modo tranne che col proprio nome: la gaffe dei giornali è femmina
“L’amica di Diletta Leotta, la francesca, la psicologa e la mamma”. Repubblica ha sostituito i nomi delle campionesse olimpiche in questo modo ed è giustamente scoppiata la bufera
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Ogni volta che una donna raggiunge un traguardo nello sport, come lo abbiamo visto anche nella scienza, nell'arte, nello spettacolo o in politica i giornali titolano con appellativi assurdi. Sembra che il nome e cognome non basti più se a vincere una medaglia alle Olimpiadi sia una persona di genere femminile. La donna viene ridicolizzata con aggettivi come: fata, regina, mamma, amica di qualcuno più famoso, una narrazione che non è mai stata applicata a un uomo.
Il caso di Repubblica
“L’amica di Diletta Leotta, la francesca, la psicologa e la mamma”. Repubblica ha sostituito i nomi delle campionesse olimpiche in questo modo. Non è un caso isolato. Ma solo uno dei tantissimi che abbiamo già trattato anche in passato. Trovare in un giornale un uomo che ricopre ruoli di rilievo chiamato per nome e non per cognome o attraverso aggettivi che spesso ne risaltano il ruolo familiare, è praticamente impossibile. Mentre c’è una imponente letteratura di gaffe scritte negli ultimi 10 anni, cioè da quando il linguaggio di genere è entrato anche nella formazione professionale giornalistica obbligatoria tutta dedicata al femminile. Il linguaggio di genere offre molti spunti di riflessioni e accorgimenti da applicare per i professionisti della comunicazione. Basterebbe seguire queste piccole regole di buon senso.
Per dirla semplice, basterebbe trattare le donne con lo stesso rispetto che si dà ai maschi. È invece ancora una volta, dopo i due incredibili risultati ottenuti alle olimpiadi il 30 luglio, con la medaglia d’argento storica della squadra di ginnastica femminile e l’oro altrettanto storico delle spadiste italiane strappato alle padrone di casa francesi, abbiamo dovuto assistere a titoloni imbarazzanti in cui le ginnaste diventano “fate” e le spadiste “amiche di Diletta Leotta”. Come sia possibile che dopo tanto parlare, discutere e formare nei corsi dell’ordine, ancora si scivoli in questi assurdi appellativi, resta un mistero. Le redazioni poi sono luoghi in cui molte decisioni, i titoli ne sono un esempio, vengono prese collegialmente. Quindi risulta ancora più strano pensare che a nessuna o nessuno dei giornalisti sia “suonato male”.
Chiudiamo con un esercizio che dovremmo fare sempre per evitare di incappare in queste figuracce: declinare quel titolo al maschile. Se ci accorgiamo che non lo avremmo mai scritto per un uomo allora è sbagliato anche per le donne. Immaginate quindi se Repubblica avesse titolato: “L’amico di Francesco Totti, il francese, lo psicologo e il papà”. Ora come vi suona?