JSON.parse('[\u0022\\u003Cdiv class=\\u0022post-item p-2 position-relative\\u0022\\u003E\\u003Cdiv class=\\u0022slide-pagination bg-dark w-100\\u0022\\u003E1 \\\/ 6\\u003C\\\/div\\u003E\\u003Cdiv style=\\u0022width: 100%; aspect-ratio: 16\\\/9\\u0022 class=\\u0022w-100 bg-dark d-flex justify-content-center align-items-center gallery-slider pb-2\\u0022\\u003E\\u003Cfigure\\u003E\\u003Cpicture class=\\u0027picture-bg\\u0027\\u003E\\u003Csource media=\\u0022(min-width: 0px)\\u0022 srcset=\\u0022https:\\\/\\\/www.milleunadonna.it\\\/media\\\/saman_altro_caso_da_evitare_e5724765c1\\\/preview.webp 754w\\u0022 sizes=\\u0022100vw\\u0022 width=\\u0022755\\u0022 height=\\u0022528\\u0022 \\\/\\u003E\\u003Cimg loading=\\u0027lazy\\u0027 src=\\u0027https:\\\/\\\/www.milleunadonna.it\\\/media\\\/saman_altro_caso_da_evitare_e5724765c1\\\/preview.webp\\u0027 alt=\\u0022Urla no al matrimonio forzato mobilitazione per evitare un altro caso Saman\\u0022 class=\\u0027figure-img\\u0027 style=\\u0022width: 100%;aspect-ratio: 16\\\/9;object-fit: contain\\u0022 width=\\u0022755\\u0022 height=\\u0022528\\u0022 \\\/\\u003E\\u003C\\\/picture\\u003E\\u003C\\\/figure\\u003E\\u003C\\\/div\\u003E\\u003C\\\/div\\u003E\u0022,\u0022\\u003Cdiv class=\\u0022post-item p-2 position-relative\\u0022\\u003E\\u003Cdiv class=\\u0022slide-pagination bg-dark w-100\\u0022\\u003E2 \\\/ 6\\u003C\\\/div\\u003E\\u003Cdiv style=\\u0022width: 100%; 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Una forte mobilitazione all'insegna della buona volontà di individui e istituzioni per evitare un altro caso Saman Abbas, la ragazzina uccisa e sepolta a Novellara, perché si rifiutava di sposare un uomo scelto dalla famiglia e che non amava. Una mobilitazione soprattutto di donne. Per impedire che il rifiuto delle nozze forzate, imposte dai familiari di una ragazza di origini indiane di 19 anni si trasformi in un’altra tragedia.
Il nuovo caso
Il nuovo caso si è verificato – riportano i media e le agenzie - nella provincia di Modena e ricorda i presupposti di altri casi finiti purtroppo tristemente. Come quello di Saman prima citato, ma anche come quelli di Hina Saleem, ventenne pakistana nascosta in giardino dai familiari, Sanaa Dafani, sgozzata dal padre. Oppure Noshen Butt che ha salvato la vita solo perché difesa strenuamente dalla madre Shannaz Begum, che pagò duramente: fu infatti uccisa al posto della figlia dal marito e da un figlio. Senza dimenticare Jamila, anche lei pakistana, che si rivolse disperata ad una sua insegnante temendo di fare una brutta fine. E ancora Sana Cheema, che dopo aver rifiutato il matrimonio in Pakistan con un cugino fu uccisa dal padre.
"Ti taglio la gola"
In effetti il caso della ragazza del Modenese ricorda molto da vicino i casi appena citati ed agita pesanti problematiche. La giovane avrebbe detto no a un matrimonio forzato con un connazionale. E il padre le avrebbe urlato "ti taglio la gola", una volta scoperto che lei si era innamorata di un altro ragazzo. La ragazza avrebbe però denunciato i familiari ed ora attende di essere collocata in una struttura protetta. Sarebbe stata una insegnante a raccogliere la sua testimonianza spaventata, mentre un'avvocata l’avrebbe accompagnata in commissariato, e una preside ospitata in casa propria. Mentre un’altra donna, quella che guida una Questura si sarebbe attivata per trovare una soluzione che garantisse la sicurezza. Tutte figure femminili che si sono mobilitate per evitare l’ennesima ingiustizia, la possibile tragedia.
La ragazzina
Pare che la ragazzina abbia 19 anni, sia di origini indiane e risieda con la famiglia in un paese della provincia di Modena. Adesso sogna solo – riferiscono i giornali – di allontanarsi da quella famiglia. L'avvocata Barbara Iannuccelli è molto chiara: "Cerchiamo di salvare un'altra Saman Abbas", ha detto riferendosi al tragico caso della 18enne pachistana uccisa, secondo l'accusa, perché rifiutò un matrimonio combinato.
Iannuccelli conosce bene il caso perché nel processo in corso assiste il fidanzato della giovane. Anche la 19enne indiana di cui si parla pare sia stata promessa sposa dai parenti. E il padre l'avrebbe picchiata, avrebbe raccontato la vittima, perché si era innamorata di un ragazzo connazionale, di qualche anno più grande, mentre la madre, la zia e la nonna l'avrebbero tenuta senza mangiare, per punirla della sua ribellione.
Ieri la ragazza avrebbe passato cinque ore in un commissariato del Bolognese e alla fine ne sarebbe uscita affidata alla preside della sua scuola, che durante la notte l'avrebbe accolta in casa propria. Era questa l'unica soluzione, poi l'avvocata ha fatto un appello pubblico. E così il questore di Bologna Isabella Fusiello ha incaricato il personale della sezione specializzata in questo tipo di attività, che l'ha raggiunta e insieme a lei ha concordato la strada per una direzione sicura.
La prima segnalazione
La prima segnalazione alla polizia sarebbe del 13 aprile, inviata dall'istituto superiore frequentato dalla giovane. La scuola si è mossa dopo che, a fine marzo, una parente aveva telefonato dicendo che la 19enne non stava bene e che aveva perso il cellulare. Ma il giorno successivo è stata lei stessa a sfogarsi con la docente, spiegando che non aveva avuto malattie, che il telefono le era stato tolto e aveva mostrato i segni sul collo, che le sarebbero stati fatti dal padre dopo la scoperta della relazione con un ragazzo che, a suo dire, non avrebbe potuto avvicinare perché già promessa sposa.
La giovane ha riferito di essere stata isolata, tenuta a digiuno per due giorni dai familiari che le avrebbero dato da bere latte dal sapore cattivo, che l'ha fatta addormentare e poi risvegliare con un gran mal di testa. Al risveglio ha trovato i suoi vestiti impacchettati, come se dovessero farla partire da un momento all'altro. La scuola allora ha attivato anche volontari di un centro antiviolenza, a cui la ragazza ha ribadito i racconti. Dopo la segnalazione, la vittima è stata sentita dai poliziotti e il suo racconto verbalizzato. In Procura a Modena è stato aperto un fascicolo per maltrattamenti e costrizione al matrimonio dove ci sarebbero già alcuni indagati. L'obiettivo della giovane è quello di recuperare i documenti che, come nel caso di Saman, sono ancora in possesso dei suoi familiari.