"Sono cambiato, ora mi sento italiano": le parole del fratello di Saman Abbas. Cosa non torna nel pentimento
L'uomo inviò ai suoi familiari la foto della sorella che baciava il fidanzato: "Ho fatto una cosa sbagliatissima"
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L'essere italiani non c'entra. Partiamo dalla prima considerazione e cioè che la cultura del rispetto delle donne non ha nazionalità. Il fatto che i diritti delle donne nel nostro Paese siano per legge garantiti non ha purtroppo mai ostacolato la violenza domestica né i tanti femminicidi che contiamo ogni anno. E' vero che l'ignoranza e la propaganda religiosa fondamentalista islamica, hanno reso alcuni paesi, come il Pakistan, invivibili per chi nasce femmina, ma dovremmo smetterla di pensare che basti il passaporto giusto per essere nello Stato amico delle donne.
Questo è il primo appunto alle parole di Ali Haider, il fratello di Saman Abbas, pronunciate nella sua testimonianza davanti ai magistrati a cui ha garantito di essere: "cresciuto come la mia famiglia, ma adesso mi sento italiano".
L'educazione da cui prende le distanze
"Da piccolo i miei genitori mi hanno insegnato che non si poteva fare amicizia con le ragazze, era vietato, e per questo ho mandato la foto del bacio di Saman ai miei parenti. In quel momento avevo la loro stessa mentalità, per me era una cosa sbagliata. Ma ora tutto è cambiato, da quando sono in comunità. Mi sento di essere italiano. Per come penso ora, hanno fatto una cosa sbagliatissima".
Non potremo mai avere la certezza che le sue parole siano realmente sentite o il frutto di una strategia giudiziaria, ma sarebbe bello che da questa terribile vicenda almeno una persona della famiglia avesse imparato che non esiste religione, tradizione o cultura che possano giustificare la privazione della libertà di una donna e addirittura l'assassinio di chi non rispetta le regole di confinamento dalla vita.
La terrificante testimonianza
"Ho visto tutta la scena. Io ero alla porta. Mia sorella camminava, mio zio l'ha presa dal collo e l'ha portata dietro alla serra. Ho visto i cugini, solo la faccia", ha raccontato in Corte di Assise. "Io ero in comunità, a Parma, quando mi hanno chiamato", ha proseguito Ali Haider. "Perché quando è successa questa roba di mia sorella, tutta la mia famiglia è tornata in Pakistan e mi ha lasciato qui in Italia. E, nonostante tutto quello che è successo, mio padre ha avuto le energie di bere. Anche in Pakistan lui beveva".
Per l'omicidio della ragazza, che si era opposta a un matrimonio forzato, sono attualmente imputati il padre, lo zio, due cugini e la madre, ancora latitante in Pakistan.
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