Il premio Nobel Narges Mohammadi dal carcere: "Vi svelo qual è il dolore per me insopportabile"
L'attivista per i diritti umani iraniana in carcere da 8 anni: "Stare lontano da un figlio è il dolore più atroce che si possa immaginare. Il primo arresto è avvenuto quando Ali e Kiana avevano 3 anni e 5 mesi. Sono stata in isolamento, in un reparto di massima sicurezza"
Foto Ansa
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Mentre noi cristiani e cristiane festeggiamo il Natale e San Silvestro accanto ai nostri cari, c'è chi, come le donne musulmane, in molti Paesi del mondo, sta lottando anche in questo momento, per sopravvivere e sconfiggere i propri regimi fondamentalisti religiosi.
Impossibile dimenticare la sedia vuota alla cerimonia di consegna del Premio Nobel per la Pace 2023. L'assenza di Narges Mohammadi, l’ingegnera, vicepresidente del Centro dei Difensori dei Diritti Umani, vive in una cella microscopica che condivide con altre quattro compagne, in uno dei carceri più infernali del mondo, il tristemente noto Evin. C'è solo una piccola finestra da cui vede la luce.
Il regime iraniano la tiene in carcere da 8 anni per propaganda anti governativa. E' stata condannata a 31 anni e 154 frustate. Non ha più rivisto i figli, né il marito, presenti alla cerimonia del Nobel che hanno fatto le veci della madre egregiamente (leggete qui). E' la prima donna musulmana a ricevere questo premio prestigioso e la sua storia ha toccato il cuore di tutti, tranne quello ovviamente dei suoi carcerieri.
E' lei stessa a raccontare in una intervista al Corriere della Sera che il messaggio "che ho mandato e che Ali e Kiana hanno letto durante la cerimonia iniziava con lo slogan "Donna, Vita, Libertà", in onore della rivoluzione del popolo iraniano. Per me il Nobel è una dichiarazione di sostegno globale al movimento progressista d'Iran. È per l'Iran che si ribella". Questa intervista è stata resa possibile inviando le domande via email.
Come fa a rilasciare interviste
"I prigionieri hanno diversi modi per comunicare con l’esterno ma preferiamo non andare nel dettaglio. Però, ogni messaggio che fa uscire dal carcere ha un prezzo", questo lo racconta il marito dalla Francia. Spiega lei: "Su di me aprono procedimenti su procedimenti: ne ho accumulati sei. Per due di questi sono stata condannata ad altri 27 mesi di prigione e quattro di pulizia delle strade, sono in attesa di un altro verdetto".
Il dolore per non poter rivedere i suoi figli
"Stare lontano da un figlio è il dolore più atroce che si possa immaginare. Il primo arresto è avvenuto quando Ali e Kiana avevano 3 anni e 5 mesi. Sono stata in isolamento, in un reparto di massima sicurezza. Non c’erano telefonate, né visite, non sapevo nulla di come stavano i miei bambini, ero tormentata. Ogni volta che penso a quel periodo, non posso credere di essere sopravvissuta a così tanta pena. Poi è andata anche peggio. La seconda volta che mi hanno arrestata e messa in isolamento, Kiana e Ali avevano 5 anni e Taghi era scappato a Parigi. In cella non facevo che pensare alla solitudine, all’impotenza dei miei figli, così piccoli, così soli: era insopportabile. Mi sono salvata solo grazie alla mia fede nella libertà per ogni essere umano. Così la sofferenza non diminuisce ma trova un senso. Non posso lamentarmi".
La battaglia contro il velo obbligatorio
L'hijab "non è un dovere religioso o un modello culturale, né, come dice il regime, il modo per preservare la dignità e la sicurezza delle donne - sottolinea -. E' uno strumento per sottometterci e dominarci. È uno dei fondamenti della teocrazia autoritaria e io lo combatto con tutta me stessa. L'uccisione di Mahsa-Jina Amini e di centinaia di manifestanti nelle strade, l'uccisione di Armita Garawand per me sono e saranno per sempre un dolore che mi è entrato in gola".
La violenza sulle donne nelle carceri iraniane
Narges Mohammadi è detenuta nella tristemente famosa prigione di Evin: "la violenza sulle donne e soprattutto sulle manifestanti è costante, non solo qui". Gli attacchi "contro le prigioniere sono uno degli strumenti di repressione che il regime ha più usato nell'ultimo anno, sebbene sia sempre stata una pratica diffusa della Repubblica islamica. E tante sono le storie che abbiamo ascoltato di aggressioni sessuali". Poi "c'è il livello superiore: le impiccagioni". "Le esecuzioni sono una delle gravi violazioni dei diritti umani. Le autorità fanno un'altra cosa terrificante di cui si parla meno: chiudono chi ha manifestato nei centri psichiatrici, la brutalità di quello che fanno lì dentro è sconvolgente. Ho protestato in carcere anche per loro".
Le mura della prigione non la fermeranno
Mohammadi lotta "per la realizzazione della democrazia, della libertà e dell'uguaglianza. Noi iraniani vogliamo una società civile forte e indipendente. La democrazia non esiste senza il rispetto dei diritti umani e quindi dei diritti delle donne".