Il toccante messaggio del docente dopo il suicidio di Giada: “L'Università non è una gara”
“Lasciamo gli studenti liberi di essere se stessi e di sbagliare”. Skuola.net: in media due suicidi l'anno per laurea mancata. Giovani schiacciati da vergogna e paura di deludere
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La china comincia quando si torna a casa dopo il primo esame non superato e invece si dice a tutti che lo si è passato. È quello il primo gradino di una scalinata che alcuni non riescono più a ripercorrere in salita. La paure di non farcela, del confronto col docente, l’esito negativo e poi l’impossibilità di tradire le aspettative dei genitori, del fidanzato o fidanzata, dell’amico o collega che invece il suo esame magari lo ha superato con lode. Ma c’è pure chi all’appello accademico neanche si presenta o chi all’università neppure è più iscritto, ma nel tempo ha montato una tale farsa, che non ha più il coraggio di disfare comunicando la semplice verità: non c’è nessuna carriera universitaria.
Mai dato neanche un esame
Questo è successo a Giada, la ragazza di 26 anni che si è lanciata dal tetto della Federico II di Monte Sant’Angelo a Napoli nel giorno in cui aveva affermato di dovere discutere la sua tesi di laurea. Un castello in aria volato via con lei: perché, come racconta Il Corriere della Sera, Giada non aveva mai dato un solo esame e non era neanche più iscritta alla facoltà di Farmacia. L’ultimo anno aveva infatti deciso non pagare neppure le tasse universitarie ritenendolo ormai inutile. Ma piuttosto che confessare ha preferito morire e oggi in tanti - studenti, docenti, laureati e pure chi mai ha pensato di diventare dottore - sono scossi e si chiedono perché.
Il commento toccante del docente
Lo ha fatto pure Guido Saraceni, docente di Filosofia del Diritto e Informatica Giuridica alla Facoltà di Giurisprudenza dell'università di Teramo, un professore molto attivo sui social network. Toccante il suo messaggio su Facebook «L'Università non è una gara, non serve per dare soddisfazione alle persone che ci circondano, non è una affannosa corsa ad ostacoli verso il lavoro. Studiare significa seguire la propria intima vocazione. Il percorso di studi pone lo studente davanti a se stesso. Cerchiamo di spiegarlo bene ai nostri ragazzi - conclude il professore -. Liberiamoli una volta per tutte dall'ossessione della prestazione perfetta, della competizione infinita, della vittoria ad ogni costo. Lasciamoli liberi di essere se stessi e di sbagliare. Questo è il più bel dono che possono ricevere. Il gesto d'amore che può letteralmente salvarne la vita».
I precedenti
Sono almeno due l'anno i casi di studenti universitari che, schiacciati da vergogna, senso di sconfitta, paura di deludere genitori e amici, decidono di farla finita il giorno della laurea. Come è avvenuto tragicamente per Giada mentre i genitori e il fratello, arrivati in Facoltà, all'Università Federico II di Napoli, erano in attesa che arrivasse il suo turno per la discussione della tesi. Skuola.net ricorda che solo negli ultimi quindici mesi - dall'inizio del 2017 - ci sono stati due casi che ricalcano quello di Giada. Il primo ha riguardato un 27enne di Chieti ha preferito spararsi in testa la sera prima del grande giorno. Esito ugualmente tragico, ma dinamica differente, per un 22enne di Badia Polesine - che si diceva laureando in Ingegneria all'università di Ferrara - e che per porre fine alla sua vita si è lasciato travolgere da treno alla stazione di Rovigo.
La discussione della tesi mai scritta
Nessuno però è mai arrivato a tessere una trama come quella di Giada, che ha aspettato l’ultimo momento per dire addio alla vita, quello in cui tutti gli amici e i parenti convenuti aspettavano che la commissione esaminatrice la chiamasse a discutere la tesi. Come se avesse voluto vivere fino all’ultimo istante prima dell’ineluttabile disvelamento della verità.
I confetti pronti
Lei che aveva addirittura voluto i confetti per la sua laurea, una pratica caduta quasi ovunque in disuso. Come racconta ancora Il Corriere, lei affermava invece di tenere talmente tanto al giorno della sua laurea da avere chiesto al padre anche il pranzo per amici e parenti. La mattina del “fatidico giorno” si è fatta fare la messa in piega e si è messa il tailleur appositamente acquistato per l’occasione, tutto per essere perfetta nel giorno della sua morte. Un suicidio premeditato come unica possibile via d’uscita da una bugia ripetuta e ingigantita per anni.
Il volo
Quando si è resa conto che non poteva più temporeggiare, che presto qualcuno le avrebbe chiesto: “Allora? Quando tocca a te?”, si è allontanata da tutti ed è salita in cima all’edificio che non l’aveva mai vista studentessa universitaria. Il suo fidanzato ha cominciato a cercarla e alla fine l’ha chiamata al telefono: “Dove sei?”. “Sono qui, alza la testa, mi vedi?”. E lui allora l’ha vista. L’ha vista volare giù.
Il terrore del fallimento personale
Nessuno sapeva, perché a nessuno lei aveva chiesto aiuto. E oggi chiunque abbia quel maledetto certificato incorniciato e appeso a una parete, chiunque abbia faticato per raggiungere un obiettivo e temuto di non farcela, di non essere abbastanza bravo, di dovere confessare alle persone amate di avere fallito, chiunque di noi ha il cuore stretto pensando a chi non ha avuto la forza di chiamare il fallimento col suo nome e fraternamente condividerlo. Con umanità, come gli umani dovrebbero saper fare.