La straordinaria storia di Maria Corda: l’ultima “signora della seta” che alleva bachi a Orgosolo
Maria è l’unica a seguire l’intera filiera del tessuto; la incontriamo nel suo laboratorio Tramas de seda, in Barbagia, a Orgosolo
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“Tengo viva un’arte che è parte fondamentale della nostra storia e della nostra cultura, e che non va assolutamente persa”. E’ animata da grande passione Maria Corda, ed è pienamente convinta che il sapere di cui è depositaria sia importante non solo per la sua terra, la Sardegna, ma per tutta Italia.
Maria è infatti nota come l’ultima “signora della seta”, ed è l’unica a seguire l’intera filiera del tessuto; la incontriamo nel suo laboratorio Tramas de seda, in Barbagia, a Orgosolo, il borgo da poco entrato a far parte del progetto Noi camminiamo in Sardegna (vedi box), noto soprattutto per gli originali murales che raccontano la storia del luogo, descrivendo uno spaccato della realtà sociale locale, tuttora molto sentita e vissuta dagli abitanti.
Foto di Roberto Moro
Su lionzu
“Nella nostra famiglia, da parte di mamma, siamo bachicoltrici e tessitrici da circa 200 anni -racconta Maria Corda-. La passione per la seta e per l’arte ad essa legata nasce in me da bambina, perché ho sempre vissuto l’allevamento dei bachi, la lavorazione della seta, la tessitura, proprio grazie a mia madre, che le faceva in casa”. Le donne dalla famiglia seguivano tutto il processo, erano le Mastras de seda, note per l’abilità nell’allevare e selezionare i bachi, sino ad ottenere una razza pregiata, la “Orgosolo”, per l’appunto, in grado di creare dei filamenti di colore giallo, oggi reso ancor più intenso con lo zafferano, trattati e poi tessuti a mano su telai appositi. Un lavoro certosino, alla base della produzione del raffinato “su lionzu”, il copricapo del costume tipico del paese, simbolo di un mestiere antico: “La tessitura di Orgosolo è un’arte vera e propria, nella quale vedo tutte quelle donne che per tantissimi anni hanno lavorato per poter confezionare su lionzu e l’abito tradizionale di Orgosolo, senz’altro uno dei più belli del centro Sardegna. Anche se erano povere, in quel vestito volevano però quasi sentirsi regine. Su lionzu - ecco l’aspetto importante da sottolineare - è l’unico capo di un vestito tradizionale sardo prodotto interamente sul posto, perché qui si è sempre fatta tutta la filiera, dall’allevamento alla tessitura. Un processo che rappresenta un unicum a livello nazionale se non europeo. Per questo, secondo me, è un patrimonio che va preservato”.
Il mestiere
Ma cosa significa, oggi, essere allevatrice di bachi da seta? “E’ una passione che comporta grande impegno, pazienza e precisione -spiega Maria-. Nei due mesi di allevamento vengo aiutata dai miei figli, dalle mie sorelle; si fa tutto in casa, i bachi sono molto delicati, bisogna prestare grande attenzione, c’è tutto un procedimento che si impara col tempo e che ho appreso guardando come faceva mamma”.
Se dovesse dire cosa la gratifica di più? “Il fatto che ancora oggi ci sia interesse. Che ci siano persone che vengono da me e si stupiscono; una volta un bimbo, mentre stavamo facendo la trattura, estraendo il filo di seta, e rimasto letteralmente a bocca aperta e ha esclamato “Ma lei e proprio una maestra magica!” Insomma, sono piccole cose, pero, in fondo, c’è l’importanza, secondo me -anche se da un punto di vista istituzionale non viene data- del mantenere viva la tradizione”.
Ma è un mestiere ancora redditizio o ci sono difficolta nel portarlo avanti? “Io non lo considero un mestiere, l’ho sempre fatto nei ritagli di tempo. Mamma e nonna sì che l’hanno fatto come lavoro, perché c’era richiesta di abiti tradizionali, all’epoca usati anche nella quotidianità. E poi, sino agli anni ‘80, ‘90, quasi tutte le ragazze di Orgosolo si sposavano con il costume; utilizzavano o rimettevano a nuovo quello di famiglia, mentre il copricapo veniva realizzato ex novo, e ricordo che mia madre allevava tantissimo e poi ne confezionava. Oggi c’è poca domanda, i costi sono elevati e io, con mia figlia, lavoro perlopiù come museo e come fattoria didattica nel periodo dell’allevamento, ospitando le scuole e tutte le persone curiose che desiderano saperne di più.
Certo, se ce lo richiedono, noi lo confezioniamo. L’ultimo l’ho venduto, 4 anni fa, a 2000 euro. Il fatto è che si tratta di un prodotto sottocosto. Perché se vado a contare le ore di lavoro, dovrebbe essere pagato tra i 4 e i 5000 euro, proprio per il tipo di impegno che c’è dietro, a partire dall’allevamento. Per far comprendere faccio sempre questo esempio: metta che da me vengano Dolce e Gabbana e mi dicano “Maria, vogliamo 30 metri della tua stoffa. Il prezzo lo fai tu. Ma per fare 30 metri di stoffa di su lionzu servono 5 o 6 anni, e se ogni anno allevo da 10000 a 15000 bruchi, occorre poi il tempo per la preparazione del filato. La vedo come una cosa impossibile…”.
Ma se Dolce e Gabbana o un altro stilista le chiedessero di mettersi al lavoro per loro, lo farebbe? “Se fossero disposti ad aspettare 5 anni… Però chi è che lo farebbe? Nessuno, non credo proprio. Eppure a me piacerebbe lavorare per grandi stilisti, per esempio per quanto riguarda il ricamo, a cui mi dedico e che amo molto; in particolare quello elaborato, con le perline, oppure con la seta, l’oro, l’argento. Il ricamo è un lavoro che va fatto con lentezza e con passione, secondo me e una terapia. Ti aiuta, prima di tutto, a stare ferma in un mondo frenetico dove tutto e in movimento e dove tutto si deve fare in fretta. Se devi ricamare, invece, devi sederti, stare comoda e fare piano, soprattutto. Perché altrimenti ti tocca disfare. E una filosofia di vita”.
Lei ritiene che questo tipo di lavoro e questo sapere ereditato dalla famiglia l'abbiano aiutata in qualche modo? L’hanno formata come persona? “Certamente. Se io oggi sono una persona serena, ma anche una che quello che vuole riesce ad averlo, è per questo, sì. E mi hanno formato anche tantissime altre cose che faccio, soprattutto all’interno della nostra piccola comunità. Parliamo di teatro, di canto… Orgosolo e ricca di attività Questa è una comunità coesa, dove ci sono dei valori forti. Può sembrare banale, ma basti pensare che, quando tu fai il pane in casa, ne porti sempre un po’ al vicino, a tua sorella, a tua figlia. E’ un modo per dare e condividere le cose. Un gesto che, come usiamo dire, porterà ancor più frutto, perché tu hai voluto dividere con un altro quello che hai”.
Qual e secondo lei la cosa più bella che ha fatto, nella vita e nella sua professione? “Nella vita sicuramente i figli. Nell’arco della mia professione, aver mantenuto quest’arte viva. Ora, non voglio che sembri la cosa più importante, assolutamente, però ne sono orgogliosa. E sa che quando morirò mi faranno un murales? (si mette a ridere, ndr). Glielo dico perché tempo fa c’era una ragazza che voleva farmelo. Ma da viva no, assolutamente! Chissà, magari mi dedicheranno una via fra duecento anni. Non ci sarà più nessuno a praticare l’allevamento del baco, e allora fotograferanno la signora che un tempo lo faceva”.
Il progetto
Per saperne di più e vivere da vicino i luoghi e le tradizioni, all’insegna del progetto “Noi camminiamo in Sardegna”. Maria Corda è un “fiore all’occhiello” di Orgosolo, che vanta molte altre eccellenze, a partire dai celebri murales, che raccontano i costumi e le tradizioni, la vita quotidiana e il lavoro delle donne, le battaglie civili e le rivendicazioni politiche. Un vero e proprio spaccato della cittadina della Barbagia, che invita a viaggiare lentamente in un’area in cui è ancora fortissimo il legame tra la popolazione e il territorio, andando a conoscere la sua gente, custode di memorie del passato, e di una cultura profondamente radicata, come quelle descritta da Maria Corda e incarnata anche nel canto a tenore, proclamato dall’UNESCO “Patrimonio Orale e Immateriale dell’Umanità”. Un viaggio in una natura incontaminata che descrive il fascino selvaggio del Supramonte di Orgosolo, delle sue vette Novo San Giovanni e Fumai, delle aree archeologiche, delle domus de janas, passando per i luoghi del martirio della “martire della purezza”, la beata Antonia Mesina.
Non a caso Orgosolo e i suoi dintorni rientrano nel progetto “Noi camminiamo in Sardegna” (noicamminiamoinsardegna.it), ideato e creato dall’Assessorato al Turismo della Regione Sardegna in collaborazione con Terre di Mezzo Editore. L’intento è promuovere il “viaggio a passo lento” nella Sardegna più autentica, una terra “da camminare” tutto l’anno, anche lungo le vie percorse dai pellegrini nel corso dei secoli. Orgosolo rientra infatti nel Cammino dei Beati, da poco inaugurato (5 tappe per 90 chilometri) che tocca anche i comuni di Galtellì, Orosei, Dorgali, Oliena, nei luoghi in cui nacquero e vissero santi e beati, oppure in posti legati a eventi miracolosi, documentati dalle fonti ufficiali della Chiesa. Un piano che si proietta verso il Giubileo 2025, all’insegna di un modello di turismo slow, esperienziale e sostenibile, tra borghi e comunità, esperienze condivise tra viaggiatori e chi li ospita, per assaporare l’identità vera dell’Isola, oltre il limite della stagionalità.