Mahsa Amini, uccisa per un ciuffo fuori posto: l'appello del padre al mondo e la sfida al regime
Cosa è cambiato in Iran dopo la morte della ragazza per mano della polizia morale e mesi di proteste represse nel sangue e manifestanti condannati a morte? Per le donne nulla, anzi...
Il 21 settembre dell'anno scorso Mahsa Amini, conosciuta come Jina (o Zhina) Amini avrebbe compiuto 23 anni, ma si è fermata a 22 per colpa di un ciuffo fuori dal velo. Siamo a Saqqez, nell’Iran nordoccidentale. Nasce nel 1999 in una famiglia curda (e questo non è un dettaglio di poco conto. Ha un fratello minore, il padre è un impiegato in un’organizzazione governativa, e la madre, casalinga. Si era diplomata l'anno prima alla Taleghani Girls’ High School. Era stata ammessa all'università. Il suo sogno era fare l'avvocata.
Le parole del fratello
“L’hanno trascinata via dicendo che la portavano a fare una ‘lezione di moralità’, intanto io ho avvisato i miei genitori. E siamo andati davanti al commissariato della polizia morale a Vozara. Lì davanti ci hanno detto che l’avrebbero rilasciata in poche ore. E invece…"
Kiarash, il fratello minore racconta quei momenti concitati: Ci stavamo recando a Teheran con i nostri genitori, in un posto di blocco la polizia ha fatto scendere Mahsa, eravamo all’ingresso dell’autostrada Haqqani. L'avevano accusata di non indossava l’hijab, uno dei veli islamici, in maniera conforme ai dettami della legge coranica.
Alcuni testimoni hanno poi dichiarato che la giovane durante il fermo avrebbe ricevuto percosse per le quali è stata trasportata in ospedale, ma già in stato di morte cerebrale. La polizia aveva rassicurato la famiglia che, dopo una “sessione di rieducazione“, la giovane sarebbe stata sottoposta a un “breve corso sull’hijab” e rilasciata il giorno stesso. Ma le cose come sappiamo, forse anche perché era curda, non andarono così.
“Mi hanno fatto vedere il suo corpo, aveva lividi sul volto – raccontò il fratello un anno fa – ma non mi hanno permesso di fotografarlo, chissà come mai. Poi due giorni dopo la polizia della moralità ha detto che mia sorella era morta a causa di un infarto. Ma lei era sana, completamente sana e non soffriva di cuore”.
Di fatto la polizia e le autorità religiose hanno sempre sostenuto che la giovane sia morta per cause naturali, versione alla quale si è opposta la famiglia fin dall’inizio, ribadendo che Mahsa non aveva problemi di salute.
Dopo un anno dalla morte di questa ragazza, colpevole di aver lasciato un ciuffo fuori da velo, il Consiglio dei guardiani della Costituzione vuole punire chi non lo indossa col carcere fino a 10 anni.
Il ridicolo referto dell'autopsia
Il reparto di medicina legale di Teheran, affermò che la morte di Mahsa Amini sarebbe avvenuta per una malattia al cervello: in particolare un’operazione all’età di 8 anni per un tumore alla testa, ma che la famiglia negò. Nel referto c'era scritto: “insufficienza multiorgano causata da ipossia cerebrale“, causata da un’improvvisa perdita di conoscenza con “caduta a terra” e morte.
A un anno l'appello del padre al mondo che sfida il regime
Amjad Amini, il padre di Mahsa Jina Amini, alcuni giorni fa ha corso gravi rischi parlando in pubblico rilasciando una intervista con VOA Persian: “Date le circostanze, non possiamo invitare ufficialmente le persone alla cerimonia nell’anniversario della sua uccisione o dire loro di non partecipare. Tutti in questi giorni sanno che Mahsa non appartiene solo alla famiglia Amini; è la figlia dell'Iran, appartiene a tutto il Paese. Tutti gli ammiratori di Mahsa sono la sua famiglia. Quindi, qualunque cosa decida la gente, obbediremo”.
Le proteste, la disobbedienza civile e le condanne a morte
L'Iran si ribella, cresce, progredisce, tutti tranne chi lo governa.
Un Paese colto e stremato dalle continue restrizioni dei diritti e dalla povertà, soprattutto nelle regioni periferiche, scende in piazza. La morte della donna è la miccia. Questa volta a guidare la mobilitazione, che dura mesi e mesi, sono le donne ma anche i maschi. Ed è questa la novità più importante, la rabbia trasversale, i generi che si uniscono per una causa comune che passa per la libertà delle donne (leggi qui). Molti giovani si faranno uccidere per i diritti delle loro madri, sorelle, amiche, mogli. Ci si ribella al dress code integralista. In strada vengono dati alle fiamme gli hijab, moltissime ragazze in Iran, ma poi in tutto il mondo, in segno di solidarietà, si tagliano i capelli. Ogni giorno sarà l'inferno con la polizia. Alla fine più di 500 morti e migliaia di incarcerati. Decine vengono condannati a morte.
La popolazione sfinita alla fine si arrende, ma non del tutto
Attualmente è infatti frequente imbattersi in donne a capo scoperto. Addirittura nel Sistan e nel Baluchistan, ogni venerdì vanno in scena manifestazioni per i diritti delle donne. E nelle università continuano gli episodi di protesta contro il regime e l’arresto di studentesse.
Il “gender apartheid”
Il popolo iraniano, soprattutto quello delle città, soprattutto i più giovani, uomini e donne senza distinzione, è molto più consapevole delle restrizioni assurde che il regime impone loro. Il reintegro della polizia religiosa, per un periodo sospesa, e il nuovissimo pacchetto repressivo nei confronti delle donne, dimostrano che i governanti ha paura del suo popolo.
Il Consiglio dei guardiani della Costituzione che è un organo composto da soli uomini, sta esaminando un decreto che ha l'intento di punire con 10 anni di carcere le donne che non indossano il velo. L'approvazione di questa terribile legge potrebbe avvenire già a ottobre. Nel testo si leggono anche disposizioni correlate, come la chiusura dei negozi che accettano clienti che non indossano il velo. Ed è risaputo che il regime starebbe investendo risorse in una terrificante tecnologia per il riconoscimento facciale, per la sorveglianza delle donne. L’Onu e Human rights watch hanno alzato la voce contro il progetto di legge, parlando di “gender apartheid”.
In cella le donne (ma anche gli uomini) continuano a essere stuprate. Leggete qui l'audio shock della reporter Nazila Maroufian. Lo sciopero della fame e la mobilitazione