Uomini che odiano le donne: lo stupro di Palermo, la cultura della violenza e la disumanizzazione della vittima
Le terribili parole nauseabonde scritte in quelle chat ci raccontano moltissimo di un sistema di potere violento che disumanizza la vittima in nome di una mascolinità tossica ancora presente fra i giovanissimi
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"Se ci penso mi viene lo schifo perché eravamo cento cani sopra una gatta, una cosa così l'avevo vista solo nei porno, eravamo troppi e sinceramente mi sono schifato un poco, però che devo fare la carne è carne, ma ti giuro dopo che si è sentita pure male, piegata a terra, ha chiamato l'ambulanza, l'abbiamo lasciata lì e siamo andati via. Voleva farsi a tutti, alla fine gli abbiamo fatto passare il capriccio".
La chat che fa rabbrividire
Partire da queste parole, che sono difficili da leggere senza provare una sorta di vertigine e nausea per il contenuto così violento, che sono state scritte da uno dei presunti stupratori.
La scrittrice e attivista Carlotta Vagnoli spiega qual è il punto
Deumanizzata e resa inerme, con i corpi e con le parole, la ragazza viene cancellata: la logica della mascolinità performativa avvolge a tutto tondo questo ennesimo caso di violenza collettiva.
Gli elementi ci sono di nuovo tutti: collegialità maschile, superiorità numerica, violenza sessuale, fisica, verbale, psicologica (durante e dopo, con le intimidazioni).
"Niente di questa storia ha a che fare con il sesso. Tutto in questa storia ha a che fare con il potere"
Non è il sesso a fare da collante tra i presunti partecipanti allo stupro- continua Vagnoli- bensì i legami parasociali che intercorrono tra gli stupratori. La vittima è il mezzo con cui loro si dimostrano vicendevolmente forza, lealtà e appartenenza. Virilità. Potere.
La vittima diventa oggetto, veicolo, una gatta, qualcosa di non umano, di meno potente, qualcosa da usare: per loro in quel momento non ha volto, non ha nome, per questo non merita pietà, per questo nessuno si ferma.
Lo stupro di gruppo di Palermo ha la struttura di ogni violenza maschile contro le donne, solo che ci fa effetto perché ad agire sono stati dei giovanissimi.
Branco, lo chiamano i giornali. Usando proprio le stesse parole e gli stessi concetti degli stupratori: un branco di cani contro una gatta.
Eppure, se volessimo iniziare anche solo a vederlo il problema, dovremmo iniziare a umanizzare i colpevoli.
Ragazzi.
Un gruppo di ragazzini è accusato di aver violentato una coetanea per dimostrare il proprio valore.
Non sono animali, non sono un branco, non sono cani. Sono un gruppo di giovani uomini che ha imparato alla perfezione la cultura di prevaricazione che insegna loro a usare le donne per dimostrare la propria potenza.
Non ci sono mostri, non ci sono cani, non ci sono branchi, non ci sono giganti, non ci sono animali, non ci sono bestie: ci sono uomini, piccoli uomini, che cancellano le donne.
Ed è proprio a questi uomini, fin da giovanissimi, fin da bambini, che la politica deve rivolgersi per prevenire la violenza sistemica contro le donne.
Fino a quel momento saremo tutte ritenute gatte per chissà quante possibili centinaia di cani.
Le parole del cantautore Ermal Meta
È evidente che il sistema educativo ha fallito. Servono punizioni esemplari e certezza della pena. Ciò che lucidamente hanno fatto e detto è raccapricciante. Immaginate di essere quella ragazza con un calvario da vivere e che la segnerà a vita. Immaginate di essere al posto dei genitori della ragazza che dopo 4/5 anni, se va bene, si vedono in giro queste bestie. Immaginate di essere invece la madre di uno di loro che tenta di screditare la vittima. Lo vedete l’abisso? Riuscite a percepirlo?
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La madre di uno degli accusati attacca la vittima
Ad andare contro la vittima è infatti anche la madre di uno degli indagati. L'ennesimo genitore che non tace davanti all'orrore. La donna quando ha saputo che il figlio e un amico avevano mentito ai carabinieri si arrabbia, rivela la Procura: "Riteneva per la loro posizione più utile, una descrizione agli inquirenti della ragazza come una poco di buono". Infine la donna, anche lei intercettata, parlando con il figlio condivideva la sua decisione di tenere nascosti i telefoni.
Anche da questo si può accertare come i giovani si siano formati l'idea della Donna. Non un essere umano che va rispettato a prescindere. Ma un oggetto. Una cosa da prendersi anche con la violenza giustificando il proprio comportamento attraverso il giudizio morale attribuito alla donna stessa.
Per italiani e italiane meriti di venire stuprata se sei "una poco di buono"
Cosa significa poco di buono? Ovviamente questo giudizio varia a seconda della convenienza. Una poco di buono è una donna che denuncia una violenza. Una donna che si ribella all'abuso di potere. Una donna che secondo queste madri e padri spinge i loro bravi figli a compiere atti sessuali. Una persona quasi sempre di genere femminile che si merita di subire violenza.
Le donne viste ancora come streghe tentatrici
Se un uomo fa del male a una donna, per una parte ancora troppo grande del Paese, la colpa è anche della donna stessa. L'idea che sia la femmina a tentare lo stupratore non è assolutamente marginale. Chiunque di noi, nel corso della propria vita, in una banale conversazione può captare questa convinzione tra le persone che conosce, che non ha genere e distinzione sociale. Se un uomo abusa di una donna, e se quest'uomo è un bianco, la colpa è sicuramente di un comportamento definito ambiguo della vittima. La violenza sessuale risulta essere l'unica violenza per cui si creda che la vittima sia corresponsabile.
L'idea che la vittima di uno stupro goda
Anche in questo caso i presunti stupratori ridevano mentre la vittima gridava basta e rispondevano: "Tanto ti piace".
Il commento di Cgil Palermo
“Di fronte al moltiplicarsi di intimidazioni, percosse, stupri, molestie, violenze di ogni tipo e femminicidi nei confronti delle donne, occorrono politiche e azioni che devono includere il tema della sicurezza, della prevenzione e dell’efficacia della pena, del sostegno e del supporto nella denuncia – dichiarano la segretaria Cgil Palermo e responsabile del dipartimento politiche di genere Laura Di Martino ed Enza Pisa, coordinamento donne Cgil Palermo -. Palermo non è una città a misura di donne e di giovani donne, aumenta in maniera esponenziale la micro criminalità. È più che mai necessario un lavoro culturale che superi definitivamente il patriarcato e miri all’attivazione di servizi che siano efficaci a dirimere la questione femminile. Così come urge un’azione che prevenga e contrasti la piaga della tossicodipendenza, fenomeno sempre più dilagante e diffuso in città e provincia”. “I fatti di Palermo confermano l’esistenza di una piaga per tutto il Paese e nella nostra regione, contro la quale in Sicilia manca una programmazione di azioni di prevenzione protezione e politiche integrate in linea con quanto previsto dal piano nazionale contro la violenza sulle donne – denunciano la segretaria Cgil Sicilia Gabriella Messina ed Elvira Morana responsabile politiche di genere della Cgil siciliana -. La misura della civiltà di una società è la libertà, il rispetto delle donne in questo senso necessita di un reale cambio di passo e occorre una task-force realmente operativa in sostituzione dell’osservatorio e della cabina di regia ai nastri di partenza da oltre tre anni”.
L'urgenza di una educazione sessuale
Presso la Casa Internazionale della Donna in un convegno svoltosi di recente, il presidente AIED Mario Puiatti ha reso noto che sono numerose le realtà europee che non hanno provveduto ad un inserimento regolare dei programmi di educazione sessuale nelle scuole europee. “L’Italia – ha osservato il presidente – è una delle pochissime nazioni in Europa, insieme a Cipro, Bulgaria, Romania e Lituania, Spagna, prive di programmi curricolari nel merito“. Il Ministero della Salute ha rilasciato dei dati utili a comprendere il quadro organico della situazione. In assenza di una formazione adeguata e strutturata, dove gli studenti ricercano le informazioni utili e a chi si rivolgono? I consultori non ammontano a tante unità sul territorio (fatto utile a comprendere l’approccio poco pragmatico delle istituzioni). A tal proposito Puiatti ha aggiunto: “Oggi 8 studenti medi e universitari su 10 cercano le informazioni in ambito sessuale e riproduttivo su internet (solo 1 su 4 chiede in famiglia), ma la stragrande maggioranza (94%) ritiene sia la scuola a dover garantire l’informazione su sessualità e riproduzione: questi i dati dello Studio Nazionale Fertilità presentato dal Ministero della Salute (2019).”