Gli insulti razzisti a Liliana Segre e la censura che colpisce Enrico Mentana: "Caro Instagram, vergognati"

La senatrice a vita sopravvissuta ad Auschwitz insultata nelle manifestazioni, il direttore del tg La 7 la difende ma viene censurato: "Instagram guarda cosa mi hai rimosso. Un post in difesa della senatrice a vita Liliana Segre. Il sonno della ragione genera algoritmi”

di Claudia Sarritzu

Un post di Enrico Mentana, in difesa della senatrice a vita Liliana Segre, sopravvissuta a Auschwitz e vilipesa nelle manifestazioni pro Hamas (non pro Palestina, giusto fare un distinguo), è stato rimosso dal social del gruppo Meta (di cui fanno parte anche Facebook e Whatsapp), Instagram.  Il post del direttore di La7 recita così: Caro Instagram, VERGOGNATI anche tu. Guarda cosa mi hai rimosso. Un post in difesa della senatrice a vita Liliana Segre. Il sonno della ragione genera algoritmi”. A corredo del commento, la foto di quanto scritto da Instagram a proposito del post che Mentana voleva pubblicare: “Sembra che tu abbia condiviso o inviato simboli, elogio o sostegno nei confronti di persone e organizzazioni che consideriamo pericolose o che tu abbia iniziato a seguirle". 

La condanna di Mentana

Nella condanna ad Instagram e nel post censurato, Enrico Mentana ha fatto riferimento agli eventi accaduti durante il corteo pro Gaza tenutosi a Milano sabato scorso, 28 settembre. È in quell’occasione, infatti, che è apparso uno striscione che criticava le posizioni e le dichiarazioni della senatrice Segre e che la accusava di essere “un’agente sionista”.

Ma cosa è successo davvero?

Ovviamente Instagram- come anche Facebook e Meta- non censurano volontariamente post in difesa di sopravvissuti a campi di sterminio o più in generale di vittime dell'antisemitismo. Il cortocircuito che spesso accade in queste rimozioni automatiche, è scatenato da algoritmi che non sono così intelligenti come si vuole credere. Un algoritmo si base sulla somma di parole che sono state catalogate alla fonte come non gradite. Basta scrivere Hamas per esempio o altre parole che sono state classificate violente o che incitino alla violenza e al razzismo, per mettere in allarme il sistema che sospende, per una successiva valutazione umana, il post incriminato, prendendo spesso fischi per fiaschi. E' quello che esattamente accaduto in questa occasione. 

Il padrone di Instagram è ebreo 

Mark Zuckerberg è uno degli uomini ebrei più influenti al mondo. Forse uno tra i 5 più importanti del pianeta e non ha certo la volontà di non far pubblicare post in difesa di altre persone ebree in questo caso addirittura vittime di razzismo. Recentemente il padrone dei tre social network più usati nel globo ha donato 1 milione di dollari a enti ebraici per la lotta contro l’antisemitismo. 

L'altra denuncia

Sono invece tantissimi i giornalisti nel mondo che per trattare l'occupazione di Israele della Palestina, dopo il massacro del 7 ottobre 2023 a opera di Hamas, nei social network sopra citati, sono costretti a storpiare le parole, invertendo lettere o usando asterischi per ingannare l'algoritmo e non incappare in censure. In sostanza si sarebbe notato che qualunque post riporti le parole: Israele, Palestina e guerra o invasione, o termini simili, insieme nelle stesse frasi, venga volutamente censurato. Ossia, l'autore del post non riceverà un avviso ufficiale come capitato al direttore Mentana, ma si renderà conto che il post non riuscirà a raggiungere un numero adeguato di follower. Questa "censura" nascosta sta limitando moltissimo -e mai come prima nella storia dei social- le discussioni sulla guerra nelle piattaforme Meta. La stessa cosa non accade invece nel conflitto russo in Ucraina. 

E' proprio vero- ma forse meglio dirlo a parole invertite-: spesso gli algoritmi generano il sonno della ragione. Ma dietro un algoritmo c'è sempre un cervello umano, a volte distratto a volte mascheratamente consenziente.