"Cara ragazza di Palermo": la lettera del padre della ragazza stuprata che tutti dovremmo leggere
La grande assente nel dibatto post stupro è sempre la vittima che finisce per essere violentata una seconda volta dai meccanismi infami della società
Ci sono i dettagli raccapriccianti che finiscono quasi sempre in pasto al voyerismo più bieco. Le chat della vergogna, i video che hanno un lugubre mercato su Telegram, le decisioni opinabili dei magistrati, le spacconerie da social degli aguzzini, la loro sorte processuale.
Dietro ogni stupro c’è questo copione già scritto, pronto a nutrirsi di indignazione e indifferenza, voglia di giustizia e impeti di vendetta. Ma soprattutto dietro ogni stupro c’è una vittima che finisce per passare in secondo piano. Un’esistenza spezzata da cercare di rimettere faticosamente a posto, a volte purtroppo senza molta speranza di farcela. Una vittima dimenticata che mentre ci si accanisce tra opposte fazioni finisce per subire un altro stupro, se possibile ancora più grave. Quello mediatico, quello sociale, quello familiare, quello psicologico.
La lettera del padre della ragazza stuprata a Roma a Capodanno
Ecco perché la lettera scritta dal padre della sedicenne stuprata a Roma a Capodanno da 5 individui e pubblicata oggi da La Repubblica andrebbe letta e riletta ovunque, a cominciare dalle scuole. Una lettera che ha il merito di raccontare con chiarezza che cosa succede “dopo”. La destinataria è la “cara ragazza di Palermo” alla quale questo padre coraggioso e disperato offre comprensione, solidarietà ma anche un crudissimo bagno nella realtà: “preparati perché ora sei sola: gli altri non comprendono”. E così comincia il racconto del “calvario di un essere spezzato nella sua dignità”, a cominciare dai legali “che sconsigliano di esporsi in un processo perché il prezzo da pagare è enormemente superiore a ogni possibile vantaggio personale: lo si fa per le figlie e i figli di tutti gli alri in un mondo che consiglia il silenzio perché essere vittime è una macchia”. Poi il racconto: “Mia figlia aveva 16 anni quando è stata drogata e stuprata da almeno cinque individui. Ma l’evidenza del referto ospedaliero non basta. Il gioco processuale sarà a dimostrare che tu, come lei, volevate esattamente quello che vi è successo”. E qui l’amarezza ha il sopravvento soprattutto per “il tradimento degli amici” perché uno stupro è “un puzzle di tradimenti”: “di chi ti usa come oggetto ma anche di chi vede in te , vittima che ha deciso di esporsi, una scocciatura di cui sbarazzarsi così come eri solo un contenitore usa e getta di sperma”. Il racconto di quella maledetta notte in cui pensi di aver lasciato tua figlia in mani sicure, a casa della famiglia della sua migliore amica e invece ti ritrovi a correre come un pazzo nella caserma dei carabinieri dove ti ritrovi davanti “un esserino annichilito, prostrato dall’enormità del sopruso”. Ma la discesa agli inferi non è finita. Perché quell’esserino dovrà fare i conti con una verità impossibile da ingoiare, quella degli amici che l’hanno abbandonata agli stupratori, quella di chi l’ha filmata, quella di chi ha inviato messaggi di insulti solo perché chiamato a deporre. Una verità troppo dolorosa per non subirne i contraccolpi fatti di fobie e di ansie, di psicofarmaci e di un rapporto che diventa conflittuale con il cibo e con il proprio corpo. “Stress post traumatico” dicono i medici ma poi capirne l’evoluzione non è scontato. “Si tenta u. tipo di terapia e poi un’altra e una ragazzina deve sperimentare l’efexor, il prozac o il litio”. (…) “Iil disagio dissimulato viene fuori per vie traverse: il profitto scolastico diventa un’altalena, come il suo peso, con oscillazioni fino a 12 chili in pochi mesi per una ragazzina che ti chiede se sarà mai più capace di avere fiducia in un uomo, amarlo, costruire una famiglia”. Il sonno diventa disturbato, lo stordimento degli psicofarmaci, la paura che le pillole diventino un’arma per farla finita. Questo padre straziato racconta la maturità conquistata e la scelta di iscriversi in giurisprudenza per credere ancora nel diritto e difendere le altre vittime. Ma poi la prima notte in collegio, “da sola tra estranei” ha come compagna “una paura paralizzante”. Così si aprono le porte dell’ospedale psichiatrico per due mesi. Arriva il processo e “la crudeltà delle deposizioni degli “amici”, scritti tra virgolette perché non c’è amicizia né umana solidarietà in chi sceglie la strada della colpevolizzazione della vittima descritta in una spirale di invenzioni di “facili costumi”. La lettera si chiude con una serie di domande indirizzate alla ragazza di Palermo, domande la cui risposta è purtroppo la constatazione di una resa della Giustizia, quella che alle vittime con il coraggio di denunciare manda a dire: facevi meglio a stare zita, rompico…oni”. Ecco forse davanti alle violenze, agli abusi, agli stupri che incessantemente vengono documentati sui giornali bisognerebbe proprio ripartire da qui. Dalla vittima che non può continuare a subire.