Il neonato morto soffocato: "poteva accadere anche a me"
Esiste qualcosa di più atroce che soffocare con il tuo corpo il tuo bimbo appena nato? Non c'è donna in questi giorni che non si sia messa nei panni di questa mamma non ascoltata. Ecco perché chiediamo alle nostre lettrici di raccontarci la loro esperienza: tante di noi sanno che “poteva accadere anche a me”
Esiste qualcosa di più atroce che soffocare con il tuo corpo il tuo bimbo appena nato? No, che non esiste. Come si fa a passare dalla gioia più grande alla voragine più profonda e accettare di essere l’incolpevole "assassina" del neonato che tenevi in grembo? Non c’è donna in questi giorni che non si sia messa nei panni della mamma del neonato soffocato all’ospedale Pertini di Roma perché si è addormentata, stremata da 17 ore di travaglio e due notti in bianco, durante la poppata notturna. “Ho chiesto aiuto più volte perché non ce la facevo da sola. Ho chiesto di portare per qualche ora il bambino al nido per permettermi di riposare, eppure mi è stato detto sempre di no”, ha raccontato, a pezzi, al Messaggero.
“Poteva accadere anche a me”, è il primo pensiero di tante, tantissime, troppe donne che in questi giorni affollano i social di testimonianze della propria esperienza del dopo parto. Il momento in cui sei più vulnerabile, affaticata, preoccupata. In cui sai che la tua vita è cambiata per sempre ma ancora non hai le coordinate necessarie a muoverti in quel nuovo mondo occupato da un esserino che dipende da te in tutto e per tutto, del quale ti sforzi di interpretare i bisogni e di indovinare le urgenze. Ed è proprio in quel momento in cui la neo madre ha più necessità di aiuto, vicinanza, assistenza qualificata che invece paradossalmente si ritrova da sola. Abbandonata a sé stessa, ai mille dubbi che si accavallano nella mente e soprattutto alla fatica fisica che qualsiasi parto, anche il più “facile” e “felice”, comporta.
È quello che centinaia di donne stanno testimoniando in questi giorni in cui affannosamente si cerca di individuare delle responsabilità. C’è un’indagine della procura in corso che darà delle risposte, così come un’autopsia che tra 60 giorni emanerà il suo verdetto. C’è anche un’interrogazione parlamentare presentata da Maria Stella Gelmini che “senza alcuna intenzione di colpevolizzare nessuno” vuole “conoscere cosa il Governo intenda fare sulla necessità di assicurare adeguate dotazioni organiche a reparti così importanti e sulla maggior flessibilità di visita alle neo mamme da parte di familiari oltre l'orario consentito. Le neo mamme non vanno lasciate sole". Già perché anche il Covid, con i rigidi protocolli che ancora vengono applicati negli ospedali e che vietano ai familiari della degente di esserle vicino, se non negli orari per le visite, hanno fatto la loro parte in questo dramma che si è svolto in un reparto ospedaliero, triste testimonial della cronica mancanza di personale nella sanità pubblica, dove i pronto soccorsi e i reparti di natalità da tempo lanciamo l’allarme per una situazione diventata insostenibile.
Ma c’è soprattutto un gran parlare del “rooming -in”, una locuzione inglese che significa poter tenere il proprio bambino con sé, nella stanza in cui si è ricoverate. Il rooming-in va proposto fornendo il necessario sostegno pratico e psicologico alla neo mamma, non imposto, come invece tante donne, compresa la madre ricoverata al Pertini, raccontano. Tutte ormai sappiamo che “la gestione separata di madre e neonato, come accadeva in passato ostacola l'avvio della relazione genitore-famiglia-neonato, è contraria alla fisiologia, anche dell'allattamento, e non garantisce da eventi neonatali imprevisti e tragici", come oggi ci ricordano le società di neonatologia e le varie associazioni di ostetrici e ginecologi. Ma questo non significa che quando una madre chiede di riposare, di essere aiutata e di portarle via il neonato per qualche ora non debba essere ascoltata. In questi giorni si parla anche di “violenza ostetrica”, di ostetriche poco empatiche, di colpevolizzazione della madre. Racconta su Instagram Valentina: “Chiesi per l’ennesima volta aiuto e con fare arrogante mi portarono via la mia bambina. In quel momento mi sentii la peggiore delle madri”.
Il fatto è che la maternità è ancora oggi circondata da un alone mistico e mitizzante fatto di sacrificio ed eroismo. Ma la realtà è che diventare madri non può essere un viaggio totalizzante dentro il dovere e il dolore. Una mamma ha il diritto di essere stanca, esausta. Ha il diritto di tirare il fiato e di non sentirsi mal giudicata per questo. Qualunque donna poteva essere al posto di questa mamma non ascoltata. Perché tante di noi sanno che “poteva accadere anche a me”.