Perché Gisèle Pelicot, fatta stuprare dal marito da 50 uomini, vuole mostrare il suo volto ed è diventata un simbolo
La donna, che ha subito dieci anni di stupri organizzati da suo marito che in precedenza la drogava, è oggi un simbolo: la vergogna ricada sullo stupratore e non sulla vittima
Perché, quando si parla di stupri, i processi sono a porte chiuse e non si pubblica mai la foto né il nome della vittima? Perché il rischio è quello che si chiama vittimizzazione secondaria. Perché si ha un bel dire che in casi di violenza carnale chi si deve vergognare è lo stupratore e non chi ha subito: la verità è che lo stigma sociale pesa sulle vittime che sono costrette a nascondersi come se avessero delle colpe. In questo contesto irrompe il processo di Mazen e la volontà di una donna, Gisèle Pelicot, fatta oggetto della peggiore violenza maschile, di mostrarsi a ogni udienza. È stata lei a chiedere che si svolgesse a porte aperte il processo a suo marito Dominique per averla fatta da stuprare da più di 50 uomini in dieci anni mentre era drogata e in stato d'incoscienza.
La forza di ribaltare il ruolo della vittima
"Parlo per ogni donna che è stata drogata senza saperlo: sto riprendendo il controllo della mia vita per denunciare i rischi della sottomissione chimica", ha dichiarato insistendo affinché il processo si svolga pubblicamente per mettere in guardia tutte le donne. Un cambio di paradigma in cui la vittima guarda in faccia i suoi aguzzini e li costringe a vergognarsi. E infatti gli stupratori, alcuni, dichiarano la loro colpa e la loro vergona, come ha fatto uno degli ultimi a testimoniare al processo, Lionel R. Gisele è stata presente a tutte le udienze e si è lasciata fotografare fino a diventare un simbolo. E a ogni udienza è stata presente pura sua figlia che ha dichiarato tutto l'orgoglio per il coraggio di sua madre.
“La vergogna cambia campo”
Non è un caso che lo slogan delle ultime manifestazioni a sostegno di Gisèle Pelicot in Francia, da Marsiglia a Parigi, da Nantes a Nizza sia "la vergogna cambia campo". Il processo, iniziato due settimane fa al tribunale di Avignone, ha avuto un impatto enorme sul Paese e sta arrivando a cambiarne la cultura a cominciare dal linguaggio usato per parlare di violenza sessuale. L'obiettivo è spostare la vergogna sull'abusatore, non più sulla vittima per incoraggiare le donne a denunciare. C'è stata persino una raccolta di firme di uomini "per farla finita con la dominazione maschile", in cui il militante e terapeuta Morgan N. Lucas, promotore dell'iniziativa, ha dichiarato: ''Il caso Pelicot ne è la dimostrazione, la violenza maschile non è una questione di mostri, è una questione di uomini''.
Il nome della vittima
All'inizio del processo, nessuna testata citava il nome della vittima per tutelare la sua vita privata e quella dei tre figli della coppia. Ma la donna ha presto dichiarato: “Non ho nulla di cui vergognarmi”. Ora Gisèle arriva alle udienze applaudita dal pubblico e lo fa a testa alta. La sua è una sfida ai tanti stereotipi ancora vigenti sullo stupro e che sono frutto di una società patriarcale e misogina che costringe molte donne a non denunciare per evitare che la violenza subita sia solo l'inizio di un calvario infinito.