Elda Baggio di Medici Senza Frontiere: “A Gaza è un inferno. Due nostri medici sono stati uccisi ieri”
"Gaza è un campo profughi dal 1948, lavorare è impossibile, gli ospedali sono un bersaglio"
Elda Baggio, medico chirurgo, vicepresidente di Medici Senza Frontiere. Da 13 anni lavora con Medici Senza Frontiere; ha svolto missioni in Yemen, Haiti, Gaza, Siria, Repubblica Democratica del Congo, Iraq, Burundi e Somalia.
1. Può descrivere la situazione umanitaria a Gaza. Sappiamo che è drammatica: niente carburante, niente elettricità, niente cibo, niente acqua potabile, pochissime forniture mediche. Quali sono i problemi più gravi che devono affrontare gli ospedali di Gaza e come dovrebbero essere affrontati?
Gli ospedali di Gaza, pur non essendo tutti dello stesso livello, sono ospedali simili a quelli occidentali, dipendenti dalla tecnologia e quindi dall’elettricità. Già prima del 7 ottobre, gli abitanti di Gaza avevano disponibile l’elettricità 4 ore al giorno; quindi, gli ospedali, come anche le case, funzionavano grazie a dei generatori. Io sono stata nel 2018 a Gaza e noi per avere l’elettricità tutto il giorno in casa avevamo un generatore. Il problema dell’assenza di carburante fa sì che il generatore a carburante non va e quindi la luce non c’è. Ma non è tanto la luce quanto tutte le apparecchiature mediche. Ha fatto scalpore la foto di tutti i bimbi tolti dalle termoculle e messi l’uno vicino all’altro per scaldarsi.
Senza considerare i feriti di guerra, basta pensare ai malati che non fanno più la dialisi e muoiono di insufficienza renale, a chi ha problemi di insufficienza respiratoria ed ha bisogno di ossigeno o apparecchi elettromedicali che non si riesce a far funzionare. Dopodiché c’è un’enorme mole di feriti, per i quali è pressoché impossibile oggi come oggi ricevere le cure appropriate. Salvo in un paio di ospedali, come il Nasser Hospital a Khan Younis, dove è recentemente entrata un’equipe di Medici Senza Frontiere e anche la Croce Rossa, per gli altri lavorare è impossibile. La sala operatoria non va, i malati non si possono addormentare perché c’è bisogno di un respiratore che, senza elettricità, non va. Si può ventilare a mano, ma questo richiederebbe un operatore sanitario dedicato alla ventilazione per ogni singolo paziente in un contesto dove gli operatori sono pochissimi tra i palestinesi rimasti lì e il personale inviato da Medici Senza Frontiere.
Ieri, nel bombardamento dell’ospedale Al-Awda, che è proprio l’ospedale dove io ho lavorato di più quando sono stata lì, hanno colpito il quarto e il quinto piano e sono morti due medici dell’equipe di Medici Senza Frontiere e un altro medico, in un ospedale che era già al collasso. Noti bene che Medici Senza Frontiere aveva chiaramente dato le coordinate dell’ospedale alle forze israeliane. Adesso siamo arrivati al punto che anche dare le coordinate non serve a niente, gli ospedali sono un target e lo sono anche quelli per i quali non si dice che nei sotterranei ci siano i cunicoli perché sull’ospedale di Al-Awda non è mai stato detto niente di questo genere. Eppure, ieri due medici di Medici Senza Frontiere, il dott. Mahmoud Abu Nujaila e il dott. Ahmad Al Sahar, sono stati uccisi insieme al dott. Ziad Al-Tatari in un bombardamento di un ospedale le cui coordinate erano in mano all’esercito israeliano.
2. Medici Senza Frontiere è sempre presente nelle zone di guerra, e le voglio chiedere se ciò che sta succedendo a Gaza, secondo la sua prospettiva, si distingue rispetto ad altri conflitti passati o in corso. Anche considerando la sua esperienza in prima persona in contesti come quelli dello Yemen, dell’Iraq e della Siria le chiedo se è a conoscenza di altre situazioni in cui gli ospedali, il personale medico e i pazienti sono stati deliberatamente presi di mira dalle parti belligeranti?
Se mi consente un minimo di leggerezza, quando ho cominciato ad occuparmi di chirurgia umanitaria, ho preso un libro che per chi si occupa di chirurgia umanitaria insieme ad altri testi è importante, si chiama World Surgery ed è edito dalla Croce Rossa Internazionale. Leggendo tutto il capitolo introduttivo sulle leggi umanitarie, c’era un elenco delle cose da non fare, tra cui, come esempio, il bombardamento della colonna della Croce Rossa svedese fatta dagli italiani di Mussolini. In Italia si dice non sparate sulla Croce Rossa e ho pensato che l’aneddoto venisse da lì. Noi italiani abbiamo bombardato, e le leggi umanitarie già esistevano, una colonna della Croce Rossa.
A parte questo, nel 2015 è stato bombardato l’ospedale di Kunduz in Afghanistan. Con l’idea che ci fossero uno o due capi di organizzazioni terroristiche è stato bombardato un intero ospedale. Anche lì le coordinate erano ben note a tutti gli eserciti in campo e c’è stata quasi un’ora di telefonate tra chi era responsabile della sicurezza presso l’ospedale che diceva “ma che state facendo? state bombardando un ospedale, smettetela”. L’ospedale è stato bombardato lo stesso.
Gli ospedali sono un bersaglio, purtroppo, a dispetto delle leggi umanitarie, e come dice Human Rights Watch, nessuno paga per quello che fa. Se si contravviene alle leggi del diritto umanitario qualcuno paga poi? I gruppi ribelli non sarebbero nemmeno tenuti al rispetto delle leggi umanitarie, non sono uno Stato. Ma gli Stati dovrebbero essere tenuti al rispetto delle leggi del diritto umanitario.
Sugli ospedali si spara. Adesso, in questo contesto però, si spara un po’ troppo.
3. Gli occhi di Medici Senza Frontiere sono preziosi perché da sempre vicini ai fatti: la mia domanda è quale visione di questa situazione vorreste non aver avuto?
Vorremmo non aver avuto la visione di tutti i feriti e i morti. Peraltro, credo che sia una delle crisi umanitarie in cui il numero dei bambini morti è più alto, perché l’età media della popolazione che vive a Gaza è molto bassa, ci sono molti giovani e il dato relativo ai bambini morti si aggira intorno ai 5000. Per carità è un dato che va verificato ma è sicuramente molto alto. Questo non avremmo voluto vederlo, così come non avremmo voluto vedere tante altre cose.
Vorremmo fortemente un cessate il fuoco, non una tregua come quella che è stata accordata, da 3 a 5 giorni, i quali saranno probabilmente 4. Uno scambio di ogni ostaggio contro tre prigionieri palestinesi purché non si siano macchiati di omicidio, prima donne e bambini. È stata poi prevista una finestra di 24 ore, in cui chiunque può ricorrere alla Corte Suprema Israeliana contro questo accordo, il che è estremamente preoccupante. Accanto allo scambio tra i 150 prigionieri palestinesi e i 50 ostaggi, nell’accordo c’è il passaggio degli aiuti umanitari che dovrebbero finalmente passare in un numero adeguato. Adesso rispetto ai 300/400 camion che passavano prima ne entrano una miseria.
Una delle cose su cui non si stigmatizza abbastanza è che Gaza è un campo profughi. Gaza è un campo profughi dal 1948 sotto la responsabilità dell’UNWRA che è l’agenzia delle Nazioni Unite solo per i palestinesi. Questo significa che Gaza dipende totalmente dagli aiuti esterni. Perciò tutto ciò che serve e si consuma a Gaza arriva dagli aiuti esterni, dalle apparecchiature elettromedicali, al cibo che la gente mangia, la benzina. È una situazione inimmaginabile. Non ci sono impianti di desalinizzazione dell’acqua, quindi, non c’è acqua potabile. Non mi risulta che siano ancora stati segnalati casi di colera che arriva subito dopo che finisce l’acqua potabile. Quando non c’è più acqua pulita e potabile, le epidemie arrivano.
4. Passo ad un tema che urta la sensibilità del pubblico generale, avendo appreso i numeri dei bambini rimasti uccisi o feriti, non si può che definirli raccapriccianti. Come interagisce il personale medico con i bambini? Esiste una procedura da seguire per coloro che non hanno più una famiglia, indicati con l’acronimo WCNSF (Wounded Child No Surviving Family)?
Questo è un problema che si presenta in tutte le catastrofi di guerra e naturali. Situazioni del genere ci sono state in Siria dopo il terremoto che è arrivato in una regione del Sud dove c’erano gli sfollati dopo il califfato. È una situazione della quale solitamente si prende cura la Croce Rossa, un po’ come è successo in Europa dopo la II Guerra Mondiale quando la Croce Rossa si impegnava a cercare familiari o qualcuno che potesse prendersi cura dei bambini rimasti senza un tutore.
Questo scenario è abbastanza lontano a Gaza, in questo momento i bambini feriti che sono senza famiglia, privi di qualcuno che possa prendersi cura di loro sono in una situazione ancora più drammatica degli altri. Quello di cui stiamo parlando fa parte del dopo, un dopo del quale non si riesce a vedere l’inizio perché questa è una tregua di 4 giorni e dopo è già stato dichiarato che ricominceranno a bombardare. Non è un cessate il fuoco. Medici Senza Frontiere insieme a tutte le associazioni che si occupano di umanitario e insieme a molti stati chiede il cessate il fuoco, è quello che non arriva, questa è una tregua, meglio di niente, ma una tregua.
5. Concludo chiedendole se Medici Senza Frontiere si sente sostenuto dalla comunità internazionale e dall’opinione pubblica. L’Italia, ad esempio, non si è espressa con una richiesta esplicita per un cessate il fuoco. Cosa dovrebbe essere fatto meglio o diversamente?
Medici Senza Frontiere chiede fortemente il cessate il fuoco. Lo chiede Medici Senza Frontiere Italia, lo chiede il Movimento, con le 5 centrali operative in Europa, e tutte le sezioni partner presenti negli Stati europei.
Se per sostegno si intende che chi è vicino a noi concorda con l’azione che stiamo portando avanti allora sì.
Se per sostegno invece si intende che qualcun altro più grande e più forte di noi riesce a fare qualcosa, allora, come i fatti dimostrano, no.