Flavia Perina: “Tu sì che (non) vales”, alle atlete della corsa 100 euro in meno di premio
La giornalista: “Non solo alle donne danno premi inferiori, agli stranieri non permettono di iscriversi: la discriminazione è doppia”
Ci sono paesi in cui si cerca di vincere la discriminazione di genere anche nel mondo dello sport, e l’ultimo esempio è quello delle calciatrici norvegesi che avranno la stessa remunerazione dei colleghi, e altri come l’Italia in cui, se è possibile, si fanno passi indietro. L’esempio ci viene da Osimo ed è stato segnalato con un post su Facebook da Flavia Perina, giornalista, scrittrice ed ex parlamentare. Nella cittadina marchigiana, in occasione di una gara campestre, sono stati previsti premi in denaro diversi per uomini e donne. Per il primo classificato 350 euro, per la più veloce solo 250. Per il secondo arrivato 250, mentre per la seconda al traguardo solo 200. E così via fino al sesto posto: da questa posizione in poi e fino al decimo posto, gli uomini prendono 50 euro, le donne niente. Ma oltre a questa differenza, ce n’è un’altra in base alla provenienza geografica perché questi premi, a titolo di rimborsi spese, vengono assegnati solo agli atleti aventi cittadinanza italiana.
Flavia Perina ci ha raccontato che la segnalazione le è arrivata da Luisa Garribba Rizzitelli dell’ Associazione nazionale atlete (Assit) che per prima ha denunciato il fatto su Facebook.
“Da lei ho saputo che, tra l’altro, è il secondo anno che a Osimo organizzano una corsa campestre con le stesse modalità: premi differenziati per maschi e femmine. E poi la questione degli atleti che non hanno la cittadinanza italiana è da sanzione. In quest’ambito vige lo ius soli sportivo: i giovani figli di stranieri possono tesserarsi alle federazioni esattamente come i figli degli italiani, quindi io credo che sia proprio ‘contra legem’ non dare rimborsi spese se uno non ha la cittadinanza”.
Gli organizzatori della gara sono quindi riusciti nella straordinaria impresa di discriminare donne e stranieri in un colpo solo.
“Se c’è un atleta regolarmente tesserato Fidal (Federazione Italiana Di Atletica Leggera) che partecipa a questa gara e vince, non prende il premio perché non è cittadino italiano. Non c’è alcuna giustificazione per questo. Ci sono vari enti pubblici tra i patrocinatori di questa iniziativa che non dovrebbero permettere una cosa del genere. Tra l’altro la gara è considerata una prova valida per i campionati europei di cross e quindi il Coni, la Regione Marche e la Provincia di Ancona dovrebbero imporre la cancellazione di questa discriminazione sui premi, soprattutto a svantaggio degli stranieri. Io spero che, se il divario non sarà sanato, le atlete si rifiutino di correre”.
La differenza fra i premi per gli agonisti professionisti è sempre stata giustificata col peso degli sponsor e quello del pubblico che preferirebbe assistere alle prestazioni maschili. Ma se questo è tollerabile per lo sport di alto livello, non si capisce come a una gara campestre possa si possano applicare gli stessi criteri.
“Non è giustificabile perché qui non ci sono sponsor come a Wimbledon o nei campionati di calcio. Qui i premi sono dati dalle quote di iscrizione alla gara che sono uguali per tutti: maschi, femmine e stranieri. Non ci sono alibi: tutti pagano la stessa tassa, corrono la stessa gara ma per gli stranieri non ci sono premi e le donne ne prendono di meno, solo i maschi lo prendono intero”.
Nel suo profilo Fb, i commenti sono piuttosto indignati, secondo lei sta aumentando la sensibilità di fronte a disparità di questo genere o siamo ancora all’anno zero?
“Sta aumentando la sensibilità generale ma nel mondo dello sport è bassissima: immagino che questa griglia di premiazioni sia passata sotto lo sguardo di numerosi dirigenti sportivi, e poi di supervisori del Coni, della Fidal, della Provincia e della Regione e nessuno è sobbalzato all’idea di premi differenziati. Quindi questa sensibilità è molto più larga nella società ma nello sport è quasi inesistente”.