Femminicidio: anche in caso di denuncia è difficile difendersi dalla violenza
L'avvocato Ruggiero spiega che il soggetto violento ha la possibilità, nelle lacune delle procedure di accesso agli atti, di conoscere il domicilio esatto della vittima
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Nel 1990 con alcune donne di differenti professioni decidemmo di riunirci per dare vita a un’associazione che tutelasse le donne contro le violenze di ogni tipo con particolare attenzione ai casi che avvenivano tra le mura domestiche che erano in crescita esponenziale e si manifestavano in modo più evidente. A oltre 25 anni di distanza da allora, poco o nulla sembra sia mutato. In un solo giorno tre casi di femminicidio in diverse regioni italiane sono balzati agli onori delle cronache. Il dato è allarmante. L’unica differenza tra questi episodi drammatici è che in alcuni dei casi l’uomo che ha perpetrato violenza si è poi ucciso perché ha razionalizzato il tragico fatto portato a termine.
Nel caso specifico della ragazza di Pozzuoli, i giornalisti hanno riferito che il Pm incaricato del caso ha comunicato che si è trattato di fatto premeditato. Cerchiamo di andare al fondo della questione relativa alla violenza che una qualsiasi donna può subire dalla persona che le è accanto e che con essa convive. Purtroppo oggi è ancora difficile difendersi e tutelarsi dalla violenza e cerchiamo di spiegare il perché in alcuni passaggi: la donna minacciata si rivolge a un avvocato, a un centro o alle Forze dell’Ordine, se non ha ancora realmente subito violenza l’autorità rimanda la donna a casa riferendo che ancora nessun reato è stato perpetrato!
Se, invece, ci sono state minacce documentate ( con registrazioni o testimoni ), prende avvio un iter giudiziario penale che dovrebbe essere parallelo a quello civile di separazione, ma ciò non avviene perché purtroppo gli uffici giudiziari tra loro comunicano poco. Allora deve essere l’avvocato a interagire tra gli uffici civili e penali e a cercare di coordinare i tempi giusti per la tutela della donna. Non sempre però l’avvocato ci riesce, poiché i tempi delle cancellerie e dei giudici non collimano.
E nel frattempo la donna vittima di violenza cosa fa? O resta in casa con il soggetto violento ad attendere i tempi della giustizia o si rivolge a un parente per essere ospitata, tutelandosi nel frattempo da un’eventuale denuncia per sottrazione di minore, se ha figli con meno di 18 anni; in questo caso la donna deve quindi avvertire le competenti autorità in modo chiaro specificando che per la tutela dell’incolumità è costretta a recarsi presso altro alloggio specificando l’indirizzo.
La donna può inoltre rivolgersi anche a un centro specializzato, cercando una casa famiglia e non una casa di accoglienza poiché la differenza è che le case di accoglienza non possono in un tempo prolungato coadiuvarla nelle uscite. Nel caso della donna che non ha parenti e amici che possono ospitarla e quindi deve necessariamente rivolgersi a una struttura, non sarà semplice l’accoglienza in tali case per le quali le richieste sono sempre molto numerose.
Insomma, è un vero incubo. Intanto, il soggetto violento ha la possibilità, nelle diverse lacune delle procedure di accesso agli atti, di conoscere il domicilio esatto e quindi la donna continua a vivere nella paura. Altro aspetto importante da risolvere è la qualità di vita da assicurare alla donna e ai minori in questo lasso di tempo, fino al momento in cui vi sarà la punizione e condanna del soggetto violento. La vita delle vittime è complessa poiché non è più normale, spesso vivono segregate. Insomma, penso di aver reso l’idea di come dovrà vivere un soggetto che subisce violenza e di quanta strada dovrà ancora farsi per garantire una tranquillità a soggetti sfortunati che subiscono qualunque tipo di violenza dai propri compagni.
Come deve risolversi tale piaga per non giungere alla morte di persone giovani che hanno la sola colpa di aver creduto in un amore malato e di non aver saputo o voluto leggere precedenti manifestazioni solo e sempre per amore? In primis occorre coordinare uffici specifici e competenti con avvocati, magistrati e componenti delle forze dell’ordine specializzate. Questo esiste nei singoli uffici, ma manca ancora un vero coordinamento. Noi Legali specialisti in tali casi purtroppo combattiamo giorno per giorno per poter coordinare tutti gli eventi e difficilmente ci riusciamo.
Auspico un incontro-convegno su tale tema tra tutti i soggetti che possono essere realmente utili e spero che domani non si muoia più di botte o di eventi tragici, frutto di menti malate, distruttive e possessive. Il mio augurio è sempre lo stesso: noi donne dovremmo essere razionali il più possibile e allorquando il nostro partner manifesti comportamenti violenti, dobbiamo reagire subito, ribellarci e rivolgerci a qualcuno che realmente ci aiuti; se sopportiamo e facciamo sempre finta di nulla, guardando dall’altra parte, si giungerà prima o poi all’epilogo drammatico.
L’unico vero traguardo in materia è rappresentato da una task force all’americana su tali casi con competenza, coordinamento e attenzione. E questo non deve essere un sogno , ma una realtà.
Valentina Ruggiero, Presidente dell’Osservatorio Nazionale sul diritto di famiglia – sezione Roma; Coordinatore vicario “Progetto Famiglia” per il Tribunale e Corte d’Appello di Roma presso il Consiglio dell’Ordine di Roma; sino al 2005 avvocato dell’associazione “Telefono Rosa”
Nel 1990 con alcune donne di differenti professioni decidemmo di riunirci per dare vita a un’associazione che tutelasse le donne contro le violenze di ogni tipo con particolare attenzione ai casi che avvenivano tra le mura domestiche che erano in crescita esponenziale e si manifestavano in modo più evidente. A oltre 25 anni di distanza da allora, poco o nulla sembra sia mutato. In un solo giorno tre casi di femminicidio in diverse regioni italiane sono balzati agli onori delle cronache. Il dato è allarmante. L’unica differenza tra questi episodi drammatici è che in alcuni dei casi l’uomo che ha perpetrato violenza si è poi ucciso perché ha razionalizzato il tragico fatto portato a termine.
Nel caso specifico della ragazza di Pozzuoli, i giornalisti hanno riferito che il Pm incaricato del caso ha comunicato che si è trattato di fatto premeditato. Cerchiamo di andare al fondo della questione relativa alla violenza che una qualsiasi donna può subire dalla persona che le è accanto e che con essa convive. Purtroppo oggi è ancora difficile difendersi e tutelarsi dalla violenza e cerchiamo di spiegare il perché in alcuni passaggi: la donna minacciata si rivolge a un avvocato, a un centro o alle Forze dell’Ordine, se non ha ancora realmente subito violenza l’autorità rimanda la donna a casa riferendo che ancora nessun reato è stato perpetrato!
Se, invece, ci sono state minacce documentate ( con registrazioni o testimoni ), prende avvio un iter giudiziario penale che dovrebbe essere parallelo a quello civile di separazione, ma ciò non avviene perché purtroppo gli uffici giudiziari tra loro comunicano poco. Allora deve essere l’avvocato a interagire tra gli uffici civili e penali e a cercare di coordinare i tempi giusti per la tutela della donna. Non sempre però l’avvocato ci riesce, poiché i tempi delle cancellerie e dei giudici non collimano.
E nel frattempo la donna vittima di violenza cosa fa? O resta in casa con il soggetto violento ad attendere i tempi della giustizia o si rivolge a un parente per essere ospitata, tutelandosi nel frattempo da un’eventuale denuncia per sottrazione di minore, se ha figli con meno di 18 anni; in questo caso la donna deve quindi avvertire le competenti autorità in modo chiaro specificando che per la tutela dell’incolumità è costretta a recarsi presso altro alloggio specificando l’indirizzo.
La donna può inoltre rivolgersi anche a un centro specializzato, cercando una casa famiglia e non una casa di accoglienza poiché la differenza è che le case di accoglienza non possono in un tempo prolungato coadiuvarla nelle uscite. Nel caso della donna che non ha parenti e amici che possono ospitarla e quindi deve necessariamente rivolgersi a una struttura, non sarà semplice l’accoglienza in tali case per le quali le richieste sono sempre molto numerose.
Insomma, è un vero incubo. Intanto, il soggetto violento ha la possibilità, nelle diverse lacune delle procedure di accesso agli atti, di conoscere il domicilio esatto e quindi la donna continua a vivere nella paura. Altro aspetto importante da risolvere è la qualità di vita da assicurare alla donna e ai minori in questo lasso di tempo, fino al momento in cui vi sarà la punizione e condanna del soggetto violento. La vita delle vittime è complessa poiché non è più normale, spesso vivono segregate. Insomma, penso di aver reso l’idea di come dovrà vivere un soggetto che subisce violenza e di quanta strada dovrà ancora farsi per garantire una tranquillità a soggetti sfortunati che subiscono qualunque tipo di violenza dai propri compagni.
Come deve risolversi tale piaga per non giungere alla morte di persone giovani che hanno la sola colpa di aver creduto in un amore malato e di non aver saputo o voluto leggere precedenti manifestazioni solo e sempre per amore? In primis occorre coordinare uffici specifici e competenti con avvocati, magistrati e componenti delle forze dell’ordine specializzate. Questo esiste nei singoli uffici, ma manca ancora un vero coordinamento. Noi Legali specialisti in tali casi purtroppo combattiamo giorno per giorno per poter coordinare tutti gli eventi e difficilmente ci riusciamo.
Auspico un incontro-convegno su tale tema tra tutti i soggetti che possono essere realmente utili e spero che domani non si muoia più di botte o di eventi tragici, frutto di menti malate, distruttive e possessive. Il mio augurio è sempre lo stesso: noi donne dovremmo essere razionali il più possibile e allorquando il nostro partner manifesti comportamenti violenti, dobbiamo reagire subito, ribellarci e rivolgerci a qualcuno che realmente ci aiuti; se sopportiamo e facciamo sempre finta di nulla, guardando dall’altra parte, si giungerà prima o poi all’epilogo drammatico.
L’unico vero traguardo in materia è rappresentato da una task force all’americana su tali casi con competenza, coordinamento e attenzione. E questo non deve essere un sogno , ma una realtà.
Valentina Ruggiero, Presidente dell’Osservatorio Nazionale sul diritto di famiglia – sezione Roma; Coordinatore vicario “Progetto Famiglia” per il Tribunale e Corte d’Appello di Roma presso il Consiglio dell’Ordine di Roma; sino al 2005 avvocato dell’associazione “Telefono Rosa”