Dopo i balli al Bagaglino e i 20 anni di matrimonio con Raf, Gabriella Labate debutta con 'La gonna bruciata'
L’ex showgirl racconta come è nata la storia di Sara, la protagonista del libro edito da Historica, ma parla anche della sua famiglia: di suo marito e dei figli
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Gabriella Labate, nota al grande pubblico per essere stata prima donna del Bagaglino e anche per essere la moglie del cantante Raf, ha sorpreso tutti debuttando come scrittrice. La gonna bruciata, in libreria dal 12 aprile e pubblicato da Historica, è la storia di Sara e della sua evoluzione: da bimba abusata a donna che persegue un ideale più forte delle ingiustizie, delle sofferenze e della vita stessa. Il libro si apre proprio con una Sara di 5 anni che, col tipico lessico infantile, descrive il tragico evento che le segnerà la vita. E lo stridore fra le ingenue parole usate dalla piccola per raccontare cosa le fa l’orco sono la prima cosa che di questo romanzo colpisce il lettore.
Gabriella Labate ci ha raccontato come è nata questa storia e come le è cresciuta dentro la voglia impellente di scrivere.
“Ho sempre avuto una grande passione per la lettura e ho sempre scritto i miei pensieri sui diari ma non mi era mai balenata l’idea di pubblicare un libro se non negli ultimi anni. Avevo anche collaborato con mio marito nella scrittura di alcuni testi ma a un certo punto mi è venuta voglia di scrivere una commedia. Una storia che in realtà non aveva niente a che vedere con La gonna bruciata, che è venuta in un secondo tempo”.
Quindi come è nata Sara, che non è proprio un personaggio da commedia?
“Io e mio marito Raf viviamo coi nostri figli fra l’Italia e Miami. Una sera a Miami il notiziario ha dato una notizia molto brutta su una bambina e sua madre”.
Era un caso di pedofilia? Le cronache nazionali ed estere non ci risparmiano mai fatti simili.
“Sì, in quel caso avevano rapito la bambina e la vicenda non è andata a finire bene. Così mi è venuta l’idea di scrivere per dare sfogo a quelle emozioni che il genere umano sano prova ascoltando notizie come quelle. Ho voluto vestire questo personaggio di vicende anche molto dure ma trattate con delicatezza, spero, dandole poi un finale diverso”.
Quindi è partita da un caso di cronaca e ha poi costruito narrativamente un contesto? Niente di autobiografico.
“Non è un fatto autobiografico: a differenza di Sara ho avuto un ‘infanzia molto serena, allegra e dipinta da colori completamente diversi da quelli che ho raccontato. Ma probabilmente ho descritto bene la situazione visto che mi chiedono spesso se sia accaduto a me. Nel sito dedicato al libro c’è un indirizzo al quale tante donne hanno scritto aprendomi il loro cuore e dicendomi che si ritrovano in quello che ho scritto. Alcune mi hanno raccontato le loro esperienze, malgrado io non sia arrivata a descrivere tanto orrore. Orrore che loro invece hanno vissuto veramente”.
A parte gli eventi di fantasia. Cosa c’è di lei in Sara?
“Di me c’è il prorompente sentimento dell’amore e del dolore. Probabilmente riesco a descrivere bene il dolore perché l’ho provato. La perdita di una persona cara è devastante e nel mio caso è stata la morte di un fratello. È qualcosa di difficile da accettare finché in quel dolore non riesci a trovare una sorta di insegnamento. Ma a Sara ho dato anche la forza del sentimento dell’amore. I miei genitori ci hanno amato tanto e la nostra è stata una famiglia molto unita. Mio babbo mi ha insegnato a non avere paletti mentali, mi faceva sentire Maria Callas e subito dopo Gabriella Ferri. Così come il primo libro che mi ha messo in mano è stato Piccole donne insieme a Il diario di Anna Frank. E poi ho sposato un uomo col quale sto insieme da 28 anni , abbiamo fatto da poco 20 anni di matrimonio. L’amore qui a casa non è mai mancato e abbiamo due figli meravigliosi”.
Come mai usare il cognome di suo marito in un momento in cui sempre meno donne fanno questa scelta?
“Forse proprio per questo, è una di quelle tradizioni che si vanno perdendo e invece io ricordo sempre con piacere quando mamma diceva il suo cognome insieme a quello di mio papà nel presentarsi. In realtà per la legge italiana io mi chiamo così: Gabriella Labate in Riefoli. Quando stavamo valutando la copertina, dopo avere deciso di usare un dipinto di mia figlia Bianca, il grafico mi ha detto: ‘prova a mettere anche Riefoli a fianco a Labate’, io l’ho letto e mi è piaciuto. E poi è un omaggio al fatto che, dopo 20 anni, il mio nome sia quello”.
Suo marito Raf ne è stato contento?
“Contentissimo. Come è stato contento del libro. Il premio più grande che ho avuto è stato l’approvazione della mia famiglia. Raffaele mi ha detto: ‘ sono sempre più fiero di te’. E poi ha fatto una dichiarazione ufficiale sulla sua pagina facebook, una cosa idilliaca”.
Visto il suo passato, lei rappresenta la negazione dello stereotipo della bella senza testa, della showgirl illetterata.
“E cucino anche bene. Ecco magari facciamo capire a certa gente che una che ha fatto la showgirl, la primadonna, un cervello lo ha e che nella vita c’è tutt’altro. Io ho sempre detto che la fisicità non riflette interamente ciò che sei. Io ho amato molto il Bagaglino, lo sento come casa mia anche se ho amato di più fare teatro. Molto spesso ho ricoperto ruoli che sono distanti anni luce da quello che sono nella vita di tutti i giorni. A casa sto con la tuta da ginnastica e le ciabatte, il tacco 12 l’ultima volta forse l’ho messo proprio al Bagaglino”.
Archiviato il passato di lustrini, il presente è di pagine da scrivere?
“Ero molto titubante sull’uscita di questo libro perché, con i miei trascorsi, temevo critiche devastanti che in realtà non sono arrivate. Anzi c’è stata un’ondata di giudizi molto belli che non mi aspettavo. Ecco magari più che critiche feroci mi aspettavo che il mio libro passasse inosservato, invece inosservato non lo è stato, anzi mi hanno fatto tanti complimenti che ne sono meravigliata e felice”.