Dopo la donna di cioccolato servita coi pasticcini arrivano le "donne-tavolino" che servono il vino: scoppia la polemica
Ragazze vestite con un costume da tavolino, sul quale venivano appoggiati bicchieri di champagne da portare in giro, per offrirli agli ospiti, accade a Verona
Ci risiamo!
Ricordate l'episodio accaduto a Ferragosto, in un hotel di Golfo Aranci? In una tavola imbandita a bordo piscina, stesa accanto al buffet di dolci, in costume da bagno, ricoperta completamente di cioccolato, c'era una ragazza. Ne avevamo parlato qui (clicca). L'episodio raccontato da un manager milanese in vacanza in Sardegna, aveva giustamente scatenato la polemica sull'ennesima prova che ancora oggi, nel mondo del lavoro, il messaggio che passa è che il corpo femminile possa essere paragonato a un oggetto. In quell'occasione, la catena alberghiera si scusò pubblicamente, riconoscendolo come "un avvenimento grave che non rappresenta in alcun modo i suoi valori".
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In questo caso le lavoratrici sono state vestite come tavolino, sul quale appoggiare bicchieri di champagne da portare in giro, per offrirli agli ospiti.
C'era anche una sorta di "uomo farfalla" con ali punteggiate di luci, uno vestito con piccole tessere metalliche, donne sui trampoli con vesti bianche, un'esibizione di un noto violinista, luci soffuse, videoproiezioni sulle pareti e appunto le "donne-tavolino". Come sempre, ed è questo il punto, sono le donne a ricoprire il ruolo più degradante. Una cosa è fare la farfalla, un'altra il tavolino.
La dura presa di posizione da parte dell'amministrazione comunale
Il vicesindaco e assessore comunale alla Parità di genere, Barbara Bissoli, non ha nascosto il suo disappunto parlando di "oggettivazione della donna" e di "cultura misogina e patriarcale". Ma una delle ragazze che ha lavorato all'evento ha risposto: "Non mi sono sentita mercificata e neppure sfruttata. Con quei soldi mi pago l'università".
Così ha scritto al presidente del Consorzio Zai, Matteo Gasparato, che ha organizzato l'evento in occasione del 75esimo anniversario dell'ente che gestisce la zona industriale del capoluogo scaligero: "Un'oggettivazione della donna - l'ha definita - che alimenta una cultura misogina e patriarcale che, con grande impegno, stiamo cercando di eliminare. Una scena irrispettosa, alla quale ci auguriamo di non dover più assistere. E' nostra intenzione istituire un codice di condotta per gli enti collegati al Comune, nella direzione di tutelare la dignità di tutte e tutti, nonché di promuovere la cultura del rispetto e la parità di genere, soprattutto dove è messa a rischio da scelte inadeguate".
Le parole della "ragazza tavolino"
Una delle ragazze che vestivano in quel mondo è una studentessa di 21 anni, la cosa sui cui riflettere è che per lei sia normale: "Non mi sono sentita oggettificata, né mercificata e neppure sfruttata - ha detto a Repubblica -. Ho solo espresso la mia arte, in quel contesto. Insomma, ho lavorato normalmente, come faccio sempre. Altrimenti mi sarei rifiutata. Credo che non ci sia nulla per cui indignarsi, i problemi sulla mercificazione sono altri. Sono consapevole di quello che faccio e non mi sento sfruttata. Non serve che altri si indignino al posto mio. C'era anche un ragazzo in queste performance: era vestito come una sorta di pavone. Di lui non è stato detto niente, perché è uomo. E questa non è discriminazione?"
Morale della favola (se favola la si può chiamare): finché le stesse donne non si rendono conto che non c'entrano le buone intenzioni o il fatto che una determinata cosa si faccia perché ci si debba pagare gli studi. Ma che ogni nostro comportamento lancia un messaggio e vestirsi da tavolino, se a farlo nella sala sono solo le donne, e non anche gli uomini, comunica in modo netto che il femminile può essere oggettivato.
Lavorare sulla cultura della parità serve proprio a cambiare, in primis, la mentalità delle giovani donne e poi, si spera finalmente, quella dei datori di lavoro.