Mi vesto come mi pare: donne libere contro lo stereotipo del “Se l’è andata a cercare”
Resiste il preconcetto che giustifica discriminazioni e violenze: basta una gonna corta per essere giudicata una “poco di buono”
La frase “ it’s a dress not a yes” che circola di questi tempi a New York, ben sintetizza come (ipoteticamente) ogni donna sia libera di vestirsi come le pare e piace (compresa minigonna e tacchi a spillo) se la cosa le aggrada, senza per questo essere necessariamente considerata una “poco di buono” o una in cerca di avventure. Purtroppo a fronte di tale felice allocuzione, resiste, al di là e al di qua dell’Oceano, la mentalità, meglio, il preconcetto che ben si identifica con il “Se l’è andata a cercare…”. Non raramente infatti, questi sono i commenti che sentiamo a proposito di donne vittime di soprusi o anche di violenza, laddove la soggettività delle stesse si esprime, innescando disapprovazione sociale. Invece il punto è proprio questo.
Non solo femminicidio
Il Professor Antonino Minervino, fondatore e segretario scientifico dell’Asils ( Alta Scuola Italiana lotta allo Stigma) insegna: “La cronaca racconta di uomini che uccidono le donne, di donne che si tolgono la vita perché esposte a feroci aggressioni, ma la violenza e il femminicidio sono la parte più evidente di una questione ben più ampia e profonda che non si può affrontare solo quando si ha una recrudescenza di violenza. Bisogna porre la questione come fondamento pedagogico. Va riscoperta la radice comune da cui partono le differenze e questa sta nella costruzione della soggettività. Ogni azione che disconosca la soggettività genera stigma”.
Discriminazioni
“Mesi fa – aggiunge Paolo Girardi, anch’egli fondatore e presidente di Asils – ci capitò di leggere l’appassionato intervento di una cardiologa americana che aveva dimostrato che i maschi che si ammalano di patologia cardiaca, ricevono più attenzione in termini di esami strumentali e diagnosi, e arrivano prima alla terapia”, sottolineando una certa sorpresa nel trovare discriminazioni di genere in una situazione di malattia che non dovrebbe fare differenze. Questo è stigma. Nessuno sostiene che le situazioni di stigmatizzazione tocchino esclusivamente le donne, dato che il riconoscimento di ogni individualità riguarda, meglio, dovrebbe riguardare tutti, uomini e donne. Però è altrettanto vero che storicamente qualsiasi diversità è stata fonte di discredito sociale e per l’universo femminile, costretto e racchiuso dentro regole scritte ed interpretate da uomini, sia stato e sia tuttora più difficile affrancarsene.
La Giornata Nazionale di Lotta allo Stigma
Per questo ben vengano la Giornata Nazionale di Lotta allo Stigma e il seminario residenziale dell’Asils che si tengono a Ferrara il 14 e il 15, dove saranno affrontate e declinate al femminile le tematiche del dolore, della volenza, della salute mentale, delle pari opportunità, della menopausa, della maternità e della depressione, del trauma da stress e dell’accesso alle cure. Perché le donne, si sa, vivono più a lungo ma si ammalano di più. E non solo per via di patologie legate all’apparato riproduttivo, ma anche per via dei ritmi stressanti a cui vengono sottoposte oggi, le fortunate che (pur pagate meno dei colleghi maschi) riescono a tenersi un lavoro, perché la conciliazione è ancora un sogno lontano. O le tante che pagano sulla loro pelle di solito assai più dei maschi, il prezzo della crisi.