[La polemica] Care donne, la legge sullo stalking non serve a nulla e lo Stato vi lascia morire
Gabriella Carnieri Moscatelli, presidente del Telefono Rosa: «I problemi sono i tempi della giustizia. Le denunce finiscono sui tavoli dei giudici. Ma passa troppo tempo tra la denuncia e la salvezza, e per questo molte donne temono di aggravare la situazione»
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Ma serve davvero questa legge sullo stalking? Secondo la psicoterapeuta Maria Rita Parsi il caso del carabiniere Luigi Capasso di Cisterna di Latina che ha sparato alla moglie con la pistola di ordinanza e ucciso le due figliolette «è l’ennesima cronaca di una morte annunciata e i colpevoli sono coloro che non hanno voluto prendere provvedimenti».
Le inutili richieste d'aiuto
In realtà, lei non lo aveva formalmente denunciato perché non voleva fargli perdere il lavoro, ma aveva chiesto aiuto alla Polizia: «Ho paura, è diventato violento». Anche questa volta inutilmente. Siccome è solo l’ultimo episodio di una lunga serie, a questo punto ci sarebbe da chiedersi perché e di chiederlo soprattutto ai signori del Governo e del Parlamento, che di questi tempi comunque sembrano in tutt’altre faccende affaccendati.
Il reato di stalking
C’è una legge del 2009, l’articolo del Codice Penale 612 bis, che punirebbe il reato di stalking con una pena da sei mesi a 5 anni, ma che con la riforma Orlando - complimenti vivissimi al ministro della Giustizia - adesso prevede addirittura l’estinzione del reato con un semplice risarcimento di denaro, anche senza il consenso della vittima, come è già avvenuto a Torino, per la modica somma di 1500 euro. Va subito detto che meno male che c’è la legge, e che prima della sua entrata in vigore era pure peggio.
Le donne non si fidano e non denunciano
Ma la questione è un’altra: fino a che punto tutela davvero la donna, visto che i femmincidi non sembrano diminuire? Gabriella Carnieri Moscatelli, presidente del Telefono Rosa, ha detto che si tratta in ogni caso di una buona legge: «I problemi sono i tempi della giustizia. Le denunce finiscono sui tavoli dei giudici. Ma passa troppo tempo tra la denuncia e la salvezza, e per questo molte donne temono di aggravare la situazione». Così, il 78 per cento delle vittime preferiscono rinunciare: non si fidano delle autorità.
Cosa dice la legge
Già, ma perché? Ed è davvero un buona legge quella che abbiamo? Lo stalker (dall’inglese to stalk, cacciare, inseguire) secondo il nostro codice è colui che con condotte ripetute minaccia o molesta taluno in modo da determinare uno di questi eventi: a) un perdurante e grave stato di ansia o di paura; b) un fondato timore per l’incolumità propria o di un prossimo congiunto; c) una alterazione delle abitudini della vittima. Da tutto questo appare evidente che il legislatore ha ristretto la punibilità dello stalker alle condizioni psicologiche della vittima, anziché pensare di punire direttamente le azioni del persecutore. Prima domanda: è giusto? Così come è raffigurato nell’articolo, lo stalker esiste solo «se la vittima dimostra uno degli eventi sopra descritti, il che a volte però appare essere molto difficile», come osserva in un suo articolo il sito mattidalegale.blogspot.it: «in mancanza di tale prova gli atti dello stalking sono declassati a reati di semplice minaccia o molestia che il nostro codice punisce in maniera molto, ma molto blanda». Altro punto controverso è la definizione della paura che dev’essere «perdurante e grave». Chi lo decide? Chi ne stabilisce la gravità? Non è forse già accaduto qualche volta che l’inquirente abbia così sottovalutato una condizione di reale pericolo? Non ne abbiamo ormai prove a sufficienza? La condotta di uno stalker, invece, non è già grave in sé?
L'onere probatorio
L’impressione è che per come è strutturata la norma, la vittima sia tenuta a sopportare un onere probatorio molto pesante. Cosa deve fare una moglie o una fidanzata picchiata o minacciata? Filmare il marito che la riempie di botte, o quando urla che gli uccide i figli se non fa quello che vuole? E’ concepibile una situazione del genere? Sembra quasi che continuiamo a fare leggi che penalizzano le donne. Così, quante volte è diventato impossibile procedere contro lo stalker per la difficoltà di fornire prove adeguate? Il reato poi è punibile solo su querela della vittima. Non basta la denuncia di un genitore o di un figlio. E la mancanza di querela esclude l’arresto dello stalker, come è avvenuto nel caso di Latina. La pena massima è fino a 5 anni. Sinceramente, troppo poco, visto che si tratta quasi di una emergenza sociale e che la pena media che viene inflitta alle persone colpevoli di stalking, secondo l’Istat è di appena 14 mesi (ripeto: 14 mesi).
Basta un buon avvocato
Come sottolinea ancora il sito mattidalegale «basta un buon avvocato, un rito abbreviato o un patteggiamento, o una sola attenuante (non ha precedenti, oppure mostra una seria propensione a non ripetere le sue condotte)» e si può ottenere addirittura la sospensione della pena. Quasi tutti i Centri Antiviolenza sostengono che uno stalker su tre torna a perseguitare la vittima anche dopo la condanna. Figurarsi se viene lasciato libero.
Forse sarebbe meglio considerare più seriamente il problema, mettere di nuovo mano alla legge. Forse. Ma secondo voi lo faranno mai?