Se le donne si armano: ai corsi di autodifesa compaiono le pistole
A Limena, nel Padovano, sono 80 le partecipanti al corso di «autodifesa personale da strada per signore» che prevede visite al poligono per imparare a sparare
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Ci sono diversi modi di reagire al fenomeno della violenza sulle donne: la repressione del violento, la sua rieducazione – possibilmente - la cura e protezione della vittima. La maggior parte di questi interventi arriva però a danni fatti e vede la donna vestire i soli panni della vittima. C’è un approccio che invece vorrebbe prevenire, almeno nelle intenzioni, le aggressioni e prevede la figura femminile come parte attiva. Una donna che si difende da sola e che, all’occorrenza, sa usare le mani e pure la pistola.
Autodifesa da strada per signore
Come racconta Il Corriere della Sera, il poligono di Padova ospita un corso dedicato proprio alle donne. «Adrenalina pura, un fremito, un’emozione», dice Eleonora Paccagnella, 26 anni consigliera leghista a Limena, un piccolo comune del Padovano, che si è iscritta con altre ottanta donne al corso di «autodifesa personale da strada per signore» organizzato dal delegato alla Sicurezza del municipio, Jody Barichello, un ex leghista con l’hobby del tiro a segno.
Il corso
Si tratta di dieci lezioni corredate da una prova pratica di aggressione e da un paio di visite al poligono. «Ho introdotto le esercitazioni con le armi a gran richiesta delle donne. - spiega Barichello - I maestri insegneranno cos’è un’arma, il funzionamento del caricatore, la sicura, il grilletto, il cane. E le ragazze proveranno anche a sparare. L’idea di partenza è offrire alle concittadine gli strumenti per difendersi dai malintenzionati, creare una nuova coscienza, una cultura delle armi, visto che non ci pensa lo Stato».
Se è il marito a tirarti il collo?
Sono tanti i corsi di autodifesa dedicati alle donne ma in genere non prevedono l’uso di armi da fuoco. «È dal 2012 che facciamo corsi per donne con lezioni di arti marziali e di difesa pratica: l’uso dei tacchi, del mazzo di chiavi, dell’ombrello, della borsetta, o del telefonino che puoi sempre gettare in faccia all’altro. Se poi è il marito a tirarti il collo di notte, beh, lì ci sono altre tecniche, mani nude». Anche perché la maggior parte delle aggressioni avvengono proprio nell’ambiente domestico.
Il porto d’armi
Le partecipanti - dai 13 ai 74 anni - sono studentesse, casalinghe, impiegate e anche un paio di politiche. Oltre a Paccagnella, si è iscritta pure Elena Cappellini del consiglio comunale di Padova: «Il corso non serve a incentivare l’uso delle armi ma a conoscerle», afferma. Eppure alcune pensano seriamente al porto d’armi. «Potrei farmelo - afferma Paccagnella -. Mi fa un po’ paura tenere un’arma in casa ma penso che sia una questione di responsabilità. Le donne dovrebbero avvicinarsi seriamente a questo mondo, considerati i tempi che corrono».
Se violenza chiama violenza
La pensa diversamente l’assessore al Sociale di Padova, Marta Nalin, decisamente contraria all’iniziativa che per lei rappresenta un’illusione di sicurezza: «Non è con le armi che si risolvono le cose perché la violenza chiama violenza. Quella sulle donne si combatte con la cultura della parità». Le risponde Paola Pastorello, che il porto d’armi ce l’ha già e alla prima lezione al poligono ha portato la figlia di 16 anni. «Avere in casa un’arma mi fa sentire tranquilla. Premessa, la mia è ad aria compressa, può solo spaventare o fare male ma non uccide - assicura al Corriere -. A quelli che fanno discorsi di cultura, io rispondo che nella pratica, quando avvengono certi fatti, bisogna reagire subito e bisogna saperlo fare. Una volta mi è successo di chiamare il 112 e sono arrivati dopo quaranta minuti». Insomma chiedere aiuto va bene ma nel frattempo meglio sapersela cavale da sole.