“Non sei una donna, non puoi gareggiare con loro”: i test ormonali imposti alle atlete e l’identità sessuale
C’è un livello di testosterone oltre il quale non si può essere considerate donne e diventa impossibile partecipare alle gare femminili
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Cosa fa di una donna un essere biologicamente di sesso femminile? Polemiche sulla transessualità a parte (fece scalpore la presa di posizione di Caitlyn Jenner in proposito), che la risposta non sia ovvia come potrebbe sembrare è dimostrato da quanto l’argomento sia stato tema di dibattito in seno alle organizzazioni sportive, prima fra tutte quella dei Giochi Olimpici, fino alla contestata decisione di assumere il livello di testosterone come parametro. L’aspetto più o meno femminile non è infatti ritenuto un dato oggettivo ed ecco che ci si è affidati a un valore soglia oltre il quale non si può essere considerate donne, né partecipare a gare femminili.
Maschi e femmine non possono gareggiare insieme
Il problema sarebbe da imputare alla naturale superiorità, in termini di potenza fisica, degli uomini nei confronti delle donne. Questo è uno dei motivi addotti, ad esempio, proprio dall’organizzazione dei Giochi Olimpici per istituire gare maschili e femminili ben separati. Il ragionamento che sta alla base di questa tradizione sarebbe che ci sono sport in cui poco conta l’abilità, caratteristica che permetterebbe pure sfide fra maschi e femmine, e diventa predominante la potenza fisica: qui la superiorità fisica maschile viene considerata indiscutibile e legata proprio agli ormoni. Per questo un livello di testosterone “innaturale” ha portato forti discriminazioni tra le sportive come racconta Io Donna, e il caso più noto è quello di Caster Semenya, che, per sua natura, ha “livelli di ormoni maschili troppo alti per essere considerata una donna”.
Il livello soglia
Ma qual è questo livello oltre il quale non si può essere donne? Una quota pari a cinque volte quello considerato “normale per le donne adulte (che in realtà varia tra 8 e 60 nanogrammi per decilitro e cambia con l’età). Da segnalare che negli uomini le variazioni di testosterone oscillano fino al 300 per cento e nessuno si è mai peritato di sollevare l’argomento all’interno delle competizioni maschili.
Lo studio
Le valutazioni sul tema derivano tutte da uno studio del 2013 del British Journal of Sports Medicine che si basa sui dati di oltre duemila atleti maschi e femmine che avevano partecipato ai Mondiali 2011 e 2013. Risultato: i valori alti di testosterone davano significativi vantaggi. In particolare, nelle prove dei 400 metri (piani e ostacoli), 800 metri piani, lancio del martello e salto con l’asta. Di conseguenza chi, per ragioni naturali o per doping (la casistica è tanto varia da meritare altri approfondimenti), aveva un più alto livello di testosterone godeva di prestazioni migliori dall’1,8 al 4,5 per cento rispetto ad atleti e atlete con valori “normali”. Il risultato di questa soglia è che solo le donne affette da “iperandroginismo”, livello di ormoni maschili fuori norma, restano fuori.
I corpi non sono tutti uguali
Come ricorda sempre Io Donna, emblematico è il caso della mezzofondista Annet Negesa, costretta all’asportazione chirurgica delle gonadi perché “iperandrogenica” e per mantenere l’identità sessuale femminile restando in gara. Stesso problema per la velocista indiana Dutee Chand, nata con un livello molto alto di testosterone e cacciata, sebbene poi riammessa, dalle competizioni. Proprio lei in quell’occasione fece la domanda fatale: «Per le donne ci sono così tanti test: perché i nostri ormoni sono così importanti? Come possono i corpi essere tutti uguali?». Insomma, perché occorre una precisa definizione di sesso ai fini sportivi soltanto per le donne?
Il caso Hubbard
Il caso più contestato è quello della sollevatrice di pesi neozelandese Laurel Hubbard. Nata uomo, ha portato a termine la transizione e gareggia con le donne poiché rispetta il livello soglia di testosterone imposto dalle federazioni sportive, ossia cinque nanomoli per litro per un periodo di almeno 12 mesi. È questo il limite valido dal 2019: il precedente era di 10 nanomoli a dimostrazione del fatto che il valore non è così insindacabile.
Il rifiuto di Semenya
Ma il caso più famoso è quello dell’atleta sudafricana Mokgadi Caster Semenya, che ha rifiutato di sottoporsi a trattamenti ormonali per ridurre il livello di testosterone. Contro Semenya all’epoca si scatenarono pure le colleghe atlete convinte che misurarsi con una concorrente avvantaggiata dalla sua natura iperandrogina non fosse leale. C’è però chi fa notare che a queste atlete fosse più facile puntare il dito contro il testosterone di Semenya piuttosto che sugli atleti, e atlete, dopati. Ma questa è un’altra storia.