Donatella Di Pietrantonio, il racconto agghiacciante della violenza sessuale: "Quella sera in cui mio padre ha tardato"

"Nel viale deserto mi sono ritrovata la sua lingua in bocca. Roteava veloce. Era il mio primo bacio, schifoso come mai l’avevo immaginato. Mi strofinava contro lo stomaco il sesso chiuso nei jeans”

Donatella Di Pietrantonio premio Strega e racconto sulla violenza sessuale

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Tu sei una bambina, una ragazzina di appena 16 anni e stai tornando esausta da una gita con la scuola. I saluti ai compagni e alle professoresse, i souvenir nello zaino e l’attesa di tuo padre che venga a prenderti in macchina. Ti si ferma davanti “lui”, un trentenne muscoloso e alto che avevi incrociato con lo sguardo qualche volte per le strade del paese dove vivi: il bar, il campo di calcio della squadra locale. Poche parole, l’offerta di un passaggio, il diniego. Poi all’improvviso ti ritrovi la sua lingua in bocca. “Ha smesso di parlarmi di colpo, mi ha appiccicata al tronco del tiglio. Nel viale deserto mi sono ritrovata la sua lingua in bocca senza capire come ci fosse entrata. Roteava veloce. Era il mio primo bacio, schifoso come mai l’avevo immaginato. Mi strofinava contro lo stomaco il sesso chiuso nei jeans”.

Il mio primo bacio, schifoso come mai l’avevo immaginato

È l’inizio della fine, l’inizio di una violenza sessuale che ti farà considerare per tutta la vita una sopravvissuta. E a raccontarla con quella sua voce pacata, così efficace nell’affondare lo sguardo sul male privo di alcuna ragione proprio per quella dolcezza, è Donatella Di Pietrantonio, la scrittrice che con “L’Età fragile” ha vinto il premio Strega 2024 qualche giorno fa. Uno schiaffo inaspettato, un pugno allo stomaco, un urlo contro la violenza sulle donne che hanno di certo sentito tutti i presenti allo stadio Palatino nel parco archeologico del Colosseo dove in questi giorni si sta tenendo la 23esima edizione di Letterature - Festival Internazionale di Roma e dove la scrittrice è intervenuta con questo racconto inedito. Il titolo è una sola parola, amarissima, consapevole: “Sopravvivere”. 

Il racconto inedito e i corpi che servono a fare sesso

Il racconto continua tra il silenzio assoluto del pubblico e la magia dei ruderi dell’antica Roma, di una bellezza stridente in mezzo a questo racconto agghiacciante. “Non so quanto tempo sono rimasta inerte, tutta la stanchezza della gita era scesa su di me. Le parti che lui palpava erano lontanissime tra loro, il mio corpo non era più unito. Ero esplosa. A proposito di corpo, nella prefazione di “Il diritto al sesso”, Amia Srinivasan scrive: “Alcuni corpi servono ad altri per fare sesso. Alcuni servono al piacere, al possesso, al consumo, alla venerazione, alla soddisfazione, alla convalida di altri corpi”. Nel buio sotto l’albero io servivo per quello. Convalidavo la potenza di un maschio. Nessuno passava. E mio padre perché tardava tanto?”. Donatella Di Pietrantonio scende ancora più in fondo con il suo bisturi e di certo fa un riferimento alla sentenza della Corte di Appello di Milano, che qualche settimana fa ha assolto un uomo perché la donna ci ha messo più di 20 secondi a esplicitare il suo dissenso, quando dice: “Non so se ci ho messo più o meno di venti secondi a reagire. Deve essere stato quando lui ha messo il piede sopra il souvenir per mia madre: la bolla di vetro con l’Italia in miniatura e la bufera di neve che la investiva a ogni movimento. Non doveva rompere anche quella. Gli ho urlato “no” dentro la bocca ma è stato solo un mugolio. Ecco a cosa serviva quel bacio interminabile e acido: a tenermi zitta. Tra i conati di vomito ho provato a divincolarmi ma era troppo più forte”.

Mi è rimasto per sempre il seno pauroso

L’arrivo del padre, seppur in ritardo, la salva dall’essere sverginata, ma il trauma resterà a vita, come Di Pietrantonio esplicita poco più avanti: “Una frazione rilevante delle donne che conoscete sono delle sopravvissute scrive Rebecca Solnit in “Gli uomini mi spiegano le cose”. Sono stata parte di quella frazione”. Mentre è in macchina con il padre si ripete che non le è successo niente: “Ma non potevo saperlo. Mi è rimasto per sempre il seno pauroso. Lo guardavo allo specchio e certe volte non sembrava più mio. Mi curvavo per proteggerlo, indossavo reggiseni che schiacciavano. Ho avuto bisogno di molto tempo per riparare la fiducia: non me lo perdonavo”. Già perché come le donne sanno perfettamente a essere violato non è solo il corpo ma anche e soprattutto la mente e la considerazione, l’immagine che abbiamo di noi stesse”.

Lo stupro del nazista: "Non c'è luogo sicuro"

Poi la scrittrice fa un parallelo con lo stupro del soldato nazista alla giovane donna protagonista de “La Storia” di Elsa Morante, sulla quale questo Festival è incentrato. Quello è uno stupro che avviene “nelle povere certezze domestiche”. La conclusione è amara: “Non c’è luogo sicuro”. E quella ex ragazzina violata che dopo tanti anni rilegge il libro, si ferma sempre come paralizzata a pagina settanta, quella dello stupro, “che risucchia tutto il resto, quasi polverizzandolo. Così accade a volte per i grandi romanzi. Si saldano a quel punto irreparabile della nostra ferita e non ci lasciano più”. Mentre cerchiamo di sopravvivere.

10/07/2024
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