Daria Colombo: "Come rinascere dal dolore. Quando mio marito Roberto Vecchioni mi dà il suo giudizio"

Una storia di rinascita ma anche l'attraversamento senza filtri del dolore: la scrittrice e attivista mostra come la discesa agli Inferi, in una delle tante via Padova delle nostre città, tra immigrati e povertà, può incredibilmente far riscoprire gli altri e la voglia di vivere: "L'ho sperimentato"

di Cinzia Marongiu

Una storia di rinascita ma anche un attraversamento senza filtri del dolore che ti colpisce come una sferzata di vento gelido in faccia e non si cura di farti traballare. Daria Colombo, scrittrice, imprenditrice, attivista (ricordate la stagione dei Girotondi? Nasceva da una sua idea), oltre che moglie di Roberto Vecchioni, ha pubblicato un romanzo da leggere d’un fiato, “Il cielo su via Padova” (Sperling & Kupfer), che festeggia già la prima ristampa. La protagonista è una donna, Letizia, ripiegata su sé stessa dalla sofferenza per l’abbandono del marito e per una vita agiata ma resa arida dal tentativo di evitare scossoni. A furia di sfrondare possibili sofferenze esistenziali e dopo aver scommesso tutto su un rapporto che sembrava “per sempre” si finisce per ritrovarsi da soli. Ed è quello che capita a questa donna della borghesia milanese un po’ snob che si ritrova a reinventarsi la vita in uno dei quartieri più problematici di Milano, quello di via Padova appunto, da sempre considerato degradato e pericoloso. Una sorta di discesa agli Inferi, che, contro ogni sua previsione, si rivelerà decisiva nel farle riscoprire la voglia di vivere o forse addirittura nell'insegnarle finalmente a vivere con gli altri.

Il libro ha una dedica commovente “Dedicato a te, immenso amore mio, che invisibile mi sei (e mi sarai) accanto sempre, in ogni mio gesto”. Parole rivolte al figlio Arrigo, scomparso prematuramente un anno fa. 

Daria, questo romanzo sembra avere un’urgenza, quella di raccontare il vuoto esistenziale e una possibile via d’uscita. È così?

“È vero. Letizia prende vita via via nelle pagine del romanzo. La Letizia che troviamo all’inizio del libro è completamente diversa da quella che ritroveremo alla fine e la cosa più sorprendente è che questa rinascita avvenga in una zona periferica, piuttosto malvista, mal frequentata, vissuta dagli immigrati. Credo che in tutte le città ci sia una via Padova. Quella di Milano è stata storicamente meta della prima migrazione, dal Veneto e dall’Emilia, poi dal Sud e infine dall’estero. Ci sono le famose case di ringhiera, quelle dove se si andava in bagno finiva che lo sapevano tutti. E dove c’è molta povertà, c’è spesso molta criminalità”.

La tua protagonista è, almeno inizialmente, una donna snob, un po’ con la puzza sotto il naso, piuttosto antipatica. Perché hai scelto di descrivere una donna con la quale può essere faticoso empatizzare?

“È vero, è stata una scelta la mia. E in merito ho avuto anche qualche discussione con l’editor. Ma volevo far capire che gli incontri possono modificare le persone, cambiarne sguardo e atteggiamenti, modo di fare e convinzioni. Letizia era una donna abituata ad incontri che definirei negativi. Una donna della buona borghesia molto chiusa in sé stessa e molto poco empatica. Lo faceva per difesa probabilmente perché anche lei aveva subito la sua buona dose di dolori esistenzialeicon la morte improvvisa dei genitori e l’impossibilità di diventare madre. Un modo per non soffrire ancora. In via Padova c’è andata convinta di starci per pochissimo tempo. Ma quella che è la via più lunga di Milano è un microcosmo straordinario che la metterà in contatto con personaggi che lei non si sarebbe mai aspettata di incontrare, che lasceranno delle tracce molto importanti e che piano piano la modificheranno nel profondo”.

A me sembra che il tema centrale del tuo romanzo sia il dolore e come superarlo. Indichi una strada coraggiosa, opposta a quella che normalmente si potrebbe pensare: sto nel mio, mi faccio coccolare, cerco di ritrovare le mie certezze. La tua Letizia si apre alla vita e agli altri e anziché difendersi accetta il rischio di stare male ancora.

“A lei succede obtorto collo. Il fatto è che via Padova non ti permette di stare nel tuo guscio con la sua invadenza: quando viene la bella stagione e si trasforma con i suoi profumi e i suoi sapori diventi inevitabilmente parte di questo mondo”. 

Via Padova è un po’ l’Italia come era negli anni 70?

“La ricorda ma con un connotato molto più forte che è quello della multietnicità”.

C’è un aspetto politico spiccato in questo libro. Sei un’attivista politica, hai collaborato con il sindaco Sala nell’Assessorato delle Pari Opportunità e qui mostri un aspetto positivo dell’immigrazione, in controtendenza con le istanze di una parte di società civile e politica. L’hai sperimentata? 

“La sto tutt’ora sperimentando. Faccio volontariato in uno dei centri che io stessa ho creato, i Centri Milano Donne per accogliere le donne in difficoltà. È una cosa molto positiva perché aiuta chi lo fa e chi lo riceve. Lavoro specificatamente con le donne musulmane che hanno molto da dirci e da insegnarci e sulle quali noi viviamo grandi stereotipi. Le frequenti e capisci che sono anni luce avanti a noi e che abbiamo tanto da imparare da loro. Sia chiaro, dove c’è povertà spesso si insinua la criminalità. Io non sono la paladina del “volemose bene” a tutti i costi, del “devono entrare tutti”. Mi rendo conto che l’immigrazione ha bisogno di essere regolata ma è una cosa importantissima se è fatta in maniera seria. Abbiamo bisogno dei lavoratori, dei bambini e non solo, in modo un po’ cinico, per far crescere il nostro Paese. Ma anche per aprirci la testa e guardare il mondo in un modo diverso. In una delle sue ultime lezioni, Letizia legge in classe una poesia di Rodari in cui si chiede: “Com’è che la terra è divisa in mille pezzi e invece il cielo è uno solo? E se ci pensate è proprio così, il cielo è unico e non solo quello di via Padova. Ma anche quello di Milano, della Lombardia, dell’Italia, di tutto il mondo”.

In famiglia siete in due a scrivere visto che Roberto Vecchioni oltre a cantare è anche autore di diversi romanzi. Com’è il tuo approccio alla scrittura rispetto al suo? Vi confrontate? Glielo leggi dopo o ne parlate durante?

“Non ne parliamo mai durante. Ci confrontiamo all’inizio sull’idea generale e sull’impostazione. E poi non ne parliamo più perché Roberto è molto pignolo. E poi abbiamo un modo di scrivere completamente diverso. Lui è anche molto biografico, io invece sono molto riservata e tendo a non mettere niente di privato. Ma alla fine quando l’ho finito e glielo faccio leggere sono molto emozionata di sentire il suo giudizio”.

E in questo caso qual è stato?

“Questo gli è piaciuto molto”.