Non possono dare il cognome materno ai figli e si rivolgono al tribunale: il caso finisce alla Corte costituzionale
Quella del cognome della madre è una lunghissima battaglia che ancora non è finita: il 13 la pronuncia sulla preclusione nel Codice Civile
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È legittimo precludere ai genitori di assegnare il solo cognome materno ai figli nati fuori dal matrimonio ma riconosciuti? È questo il nodo che dovrà sciogliere la Corte costituzionale, che ne discuterà in camera di consiglio il 13 gennaio prossimo. La questione è stata sollevata dal tribunale di Bolzano che ha chiesto alla Consulta di pronunciarsi sull'articolo 262, primo comma, del codice civile, che disciplina il cognome del figlio nato fuori dal matrimonio, nella parte in cui non consente ai genitori, di comune accordo, di trasmettere al figlio, al momento della nascita, il solo cognome materno.
Il cognome di entrambi sì, solo quello materno no
Secondo il tribunale, a seguito di una sentenza della Corte costituzionale (la 286 del 2016), sarebbe consentito attualmente ai genitori, di comune accordo, di trasmettere al figlio, al momento della nascita, anche il cognome materno, in aggiunta al cognome del padre che effettua il riconoscimento. Mentre non risulta disciplinato il caso in cui i genitori, di comune accordo, intendano attribuire il solo cognome della madre. Di qui la richiesta di un nuovo intervento della Consulta, ispirato agli stessi principi.
Violazione del divieto di discriminazione
Secondo i giudici di Bolzano l'attuale formulazione dell'articolo del codice civile portato all'esame della Corte sarebbe in contrasto tanto con l'articolo 2 della Costituzione, sotto il profilo della tutela dell'identità personale, quanto con l'articolo 3 della Costituzione, sotto il profilo del riconoscimento dell'eguaglianza tra donna e uomo. Non solo: ci sarebbe anche la violazione degli articoli 11 e 117, primo comma, della Costituzione in relazione agli articoli 8 e 14 della Cedu e agli articoli 7 e 21 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea (Cdfue), intesi quali rispetto della vita privata e della vita familiare e divieto di discriminazione.