Chiara Petrolini e le madri che uccidono i figli. Perché lo fanno? Le aberranti motivazioni e i segnali da non sottovalutare

I recenti fatti di cronaca riaccendono l'attenzione su quali possono essere i meccanismi che fanno scattare in una mamma l'istinto di togliere la vita al proprio figlio

Chiara Petrolini e le madri che uccidono i figli Perché lo fanno Le aberranti motivazioni e i segnali da non sottovalutare

Foto tratta dai social

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Chiara Petrolini partorisce nella notte tra il 6 e il 7 agosto. Si induce il parto perché 48 ore dopo deve partire per gli Stati Uniti insieme alla famiglia. Nel corso dei mesi, accerteranno i carabinieri del Nucleo investigativo di Parma dopo aver controllato lo smartphone della ragazza, Chiara non ha mai smesso di bere alcol, fumare sigarette e farsi qualche canna (Misale, 21 settembre 2024). Per i delitti dei suoi due figli appena nati, Chiara Petrolini è accusata di omicidio premeditato e soppressione di cadavere.

I precedenti

Non è la prima volta che assistiamo a fatti di cronaca simili: il delitto di Cogne è forse il caso più eclatante. Dal 2010 a oggi in Italia sono stati commessi 268 figlicidi, una media di quasi uno ogni due settimane: nel 55,6% dei casi (149 in valori assoluti) si tratta di bambini con meno di 12 anni, in dettaglio 106 di età compresa tra 0 e 5 anni (il 39,7%) e 43 tra 6 e 11 anni (16,2%). È quanto emerge dalla elaborazione del fenomeno aggiornata dall'Eures - Ricerche economiche e sociali. Decisamente inferiore, nel periodo in questione, l'incidenza delle vittime adolescenti (26, pari al 9,6%) o di figli maggiorenni (93, pari al 34,4%), spesso uccisi da genitori anziani, incapaci di prendersi cura o di sostenere fragilità fisiche e mentali o la loro dipendenza.

I dati impressionanti

Delle 268 vittime di figlicidio tra il 2010 ad oggi, 151 sono i maschi (56,8%), 117 le femmine (43,7%). Nella maggior parte dei casi l'autore dei figlicidi è il padre (172 figli uccisi dal 2010, pari al 64,2%), a fronte del 35,8% dei figli uccisi dalle madri (96 in valori assoluti). Il rapporto si capovolge nella fascia 0-5 anni, quando sono le madri a risultare le autrici prevalenti (in 61 casi, pari al 57,5% contro 45 commessi dai padri, pari al 42,5%). In particolare, le madri sono autrici della quasi totalità degli infanticidi/neonaticidi censiti (35 sui 39 complessivi). Il suicidio, che frequentemente segue l'omicidio, soprattutto negli omicidi in famiglia e all'interno di una relazione di coppia, dove si attesta a circa un terzo dei casi, raggiunge nei figlicidi l'incidenza più elevata, pari al 43,3% (Barricelli, 15 giugno 2022).

Chi sono le madri assassine

I recenti fatti di cronaca riaccendono l'attenzione su quali possono essere i meccanismi che fanno scattare in una mamma l'istinto di togliere la vita al proprio figlio. Chi sono le madri assassine? Come può la mano di una madre alzarsi contro il proprio figlio? Si possono prevenire queste tragedie? Ci sono segnali che possono far capire che una mamma ha bisogno di aiuto? E davanti a un bambino o a una bambina senza più vita la prima domanda è sempre la stessa: come può averlo fatto proprio lei, la madre? Come può aver infierito sulla creatura che ha messo al mondo? Non c'è una vera e propria spiegazione. Per certo, c'è di fondo una grande sofferenza che, talvolta, resta inascoltata con segnali mai colti da mariti, famiglie, amici.

Le cause

Una causa generica che possa portare a questo atto non esiste, perché il motivo risiede nella peculiarità di ogni singola storia, di ogni caratterizzazione della personalità: lì si celano le motivazioni che spingono una mamma a compiere questo gesto. È possibile che la donna presenti un disagio relativo al proprio vissuto, con sfumature di tipo patologico molto accentuate, che possono indurla a uccidere il proprio figlio. Ma quello che accade nella mente di una mamma assassina risente molto del motivo per il quale la mamma desidera in maniera più o meno cosciente di liberarsi del suo bambino (Bernasconi e Scognamiglio, 5 gennaio 2021). Gli psicologi spiegano che parte delle motivazioni sono da ricercare nella difficoltà della donna nel gestire la sua nuova vita di mamma.

I rischi del baby blues

L'equilibrio fisico e psicologico viene stravolto da ritmi ed esigenze che non corrispondono più a ciò che di cui lei avrebbe bisogno o che vorrebbe. Soprattutto nei primi mesi: lo sfinimento, il senso di inadeguatezza, la vergogna per non sentirsi all'altezza della situazione oppure disturbi dell'umore che emergono dopo una gravidanza assieme alla spossatezza, alle crisi di pianto, all'ansia. Tutti sintomi depressivi che possono risultare invisibili ai meno attenti, traducendosi in un uno stato emotivo transitorio (il cosiddetto Baby blues) che però può sfociare in una depressione post-partum oppure esplodere in vere e proprie psicosi (come la psicosi puerperale, la forma più grave). In quest'ultimo caso possono emergere sintomi come: stato confusionale, delirio, allucinazioni e alterazioni dell'udito. In molti casi di cronaca è proprio a questo genere di psicosi che si riferiscono alcune frasi delle madri assassine: “sentivo le voci che mi dicevano di ucciderlo”, “era nelle mani del demonio”, “l'ho salvato”.

I segnali premonitori

Gli studiosi sono concordi anche nell'affermare che l'uccisione di un figlio o di una figlia da parte della madre non avviene solitamente in seguito ad un'esplosione di violenza improvvisa e incontrollabile, ma c'è sempre qualcosa che prelude al momento del gesto più estremo e che si insinua e rimane a lungo nella mente di colei che lo commette, nei suoi comportamenti e nelle relazioni con gli altri (Fasano, 15 dicembre 2016). Purtroppo viviamo in un mondo dove tutti hanno il cellulare per comunicare e sono sempre connessi, ma alla base della nostra società vi sono indifferenza e solitudine delle persone. Èd è proprio contro l'indifferenza, che è diventata regina di questa nostra cultura, che bisogna lottare (Crepet, 21 settembre 2024).

Pertanto sarebbe auspicabile che eventi tragici come questi convincano tutta la società, nelle sue varie istituzioni, della necessità del sostegno psicologico: una depressione non si cura solo con i farmaci, ma anche con relazioni solide e contenitive (Desando, 8 dicembre 2014).

27/09/2024
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