Cecilia Sala, incappucciata e interrogata per 10 ore: "Quando sono crollata". Il racconto drammatico e la decisione sull'Iran

“No, non tornerò in Iran”. Lo dice in un soffio, ma decisa. E aggiunge: "Almeno finché ci sarà la Repubblica islamica". La prima drammatica intervista tv della giornalista rilasciata lo scorso 8 gennaio dal regime iraniano

di Cinzia Marongiu

“No, non tornerò in Iran”. Lo dice in un soffio, ma decisa. E aggiunge: “Almeno finché ci sarà la Repubblica islamica”. Cecilia Sala affronta la sua prima intervista tv, dopo la prigionia e l’improvviso rilascio, a “Che tempo che fa” e appare lucida, calma ma ancora provata. A tratti l’emozione le strozza la voce e deve fermarsi prima di riprendere il racconto dei 21 giorni nel tristemente noto carcere di Evin dove vengono rinchiusi i prigionieri politici del regime iraniano.

La liberazione più veloce

Camicia chiara, pantaloni neri e ricordi difficili da maneggiare anche ora che è tornata a casa e che sa di essere stata molto fortunata perché “questa è l’operazione per salvare, per liberare, un ostaggio preso in Iran più rapida dagli anni Ottanta. Io seguo l’Iran da giornalista ed ero già stata in Iran da giornalista con un visto giornalistico, quindi conoscevo gli altri casi e sapevo che 21 giorni non erano un’ipotesi appunto. Ero sicura che sarei rimasta più a lungo”.

I momenti più difficili

La giornalista che lavora per Il Foglio e per la società di podcast Choramedia non tace nemmeno i momenti difficili, quelli più duri, quelli in cui è crollata. “I primi 15 giorni venivo interrogata tutti i giorni”. Interrogatori, lunghi, lunghissimi, estenuanti nei quali “venivo incappucciata con la faccia rivolta al muro. Il giorno prima del rilascio mi hanno tenuta dieci ore di fila, sempre incappucciata. In uno degli interrogatori sono crollata, ho pianto e mi hanno dato una pasticca per calmarmi. Mi interrogava sempre la stessa persona in perfetto inglese e da quello che diceva capivo che conosceva molto bene l'Italia".

Il timore più grande

La paura più grande era di perdere lucidità di crollare psicologicamente. D’altra parte è proprio su quello che i suoi carcerieri puntavano costringendo lei come gli altri prigionieri a stare in isolamento tortale, senza notizie di ciò che accade fuori di lì, in celle di due metri per tre, dove non hanno mai la possibilità di vedere qualcuno, di parlare con qualcuno. Un silenzio assordante rotto da “rumori strazianti che arrivavano dalle altre celle, pianti o tentativi di farsi del male. In una cella accanto c'era una ragazza che prendeva la rincorsa per sbattere più forte che poteva la testa contro la porta. Durante una telefonata a Daniele (Daniele Raineri, giornalista e suo compagno, ndr) gli ho detto di avere paura per la mia testa, avevo paura di perdere il controllo".

Privata di tutto

Nessuno con cui parlare, niente da leggere: “Mi hanno tolto gli occhiali perché sono pericolosi, puoi spezzare le lenti e usarle come un’arma contro te stessa, ma dicevo ‘almeno le lenti a contatto datemele’… Fa parte dell’isolamento toglierti anche le lenti a contatto: non puoi fare niente, non puoi vedere niente, non puoi vedere nessuno. La prima sera ho chiesto il Corano in inglese perché avevo capito che sarei stata in una cella di 2 metri per 3 vuota, senza niente, e che sarebbe stato molto complicato passare le ore, e pensavo che in un carcere di massima sicurezza della Repubblica Islamica dell’Iran l’avessero e anche un po’ che non me lo potessero negare. Invece è stato negato quindi ho passato il tempo a contarmi le dita, a leggere gli ingredienti sulla busta del pane, ho ripassato le tabelline…”. Piccoli escamotage per rimanere lucida finché “le ultime sere è arrivata una compagna di cella. Il primo discorso che abbiamo fatto è stato quello, poi è arrivato un libro e le lenti a contatto quindi la possibilità per me di vedere perché senza non vedevo nulla. Però quando è arrivato il libro, quando sono arrivate le lenti, quando è arrivata una compagna di cella ho pensato ‘va bene, posso stare qui altri due anni, tranquillamente’. Il libro era ‘Kafka on the shore’ di Murakami, un libro che hanno scelto loro”.

Il momento dell'arresto

In mente ancora i momenti concitati dell’arresto: “Mi hanno prelevata nella mia camera d'albergo mentre stavo lavorando - racconta -. In macchina ero incappucciata con la testa abbassata verso il sedile. Ho capito che mi stavano portano in carcere dal rumore del traffico e dalla strada che stavamo facendo". Solo il giorno successivo le è stato concesso di fare le telefonate di rito all'ambasciata o ai familiari "per giustificare la mia sparizione".

Il motivo dell'arresto

Che cosa volevano da lei? Cecilia Sala se lo è chiesta tante volte in quei giorni interminabili: “La mia impressione è stata che loro volessero cercare di tirare fuori qualcosa da me che dimostrasse che non ero una giornalista, che potevo essere scambiata in un caso per cui per la controparte è una questione di sicurezza nazionale. È una cosa che è stata fatta in tutti i casi simili al mio, io sono stata liberata in tempi straordinariamente veloci rispetto alle circostanze. C’è stato un cittadino svizzero che si è suicidato nello stesso carcere in cui ero io di recente, c’è una cittadina iraniano-tedesca 70enne che è stata liberata dopo 4 anni… è stato un lavoro che non si vedeva in tempi così rapidi dagli anni Ottanta”.

La liberazione

Poi la liberazione insperata, improvvisa, alla quale inizialmente ha reagito con diffidenza: "Ho capito di essere un ostaggio quando mi hanno informato della morte di Jimmy Carter, il presidente americano della crisi degli ostaggi. È stata l'unica notizia che mi hanno dato durante la detenzione. In quel momento ho capito quale fosse la mia condizione". Quando la mattina dell'8 gennaio, le comunicano che sarà rilasciata, "pensavo che le persone che mi erano venute a prendere fossero i pasdaran e non l'intelligence iraniana. Credevo mi stessero portando in una delle loro basi militari, quando poi all'aeroporto militare mi hanno sbendata e ho visto una faccia italianissima con un abito grigio ho fatto il sorriso più grande della mia vita". Lo stesso che ha riservato poi al compagno e ai genitori in quell'abbraccio indimenticabile sulla pista dell'aeroporto di Ciampino, “il più bello della mia vita”.