Storia di Anna, scappata dall'Ucraina a Cagliari: "Perché non piango davanti alle stragi"
Anna Flame è scappata da Odessa quando sono cominciate a cadere le bombe russe e vive da tre anni a Cagliari: "Ho messo tutta la mia vita in una valigia. E qui continuo a modo mio ad aiutare la mia gente"
Puoi lasciartela alle spalle la guerra, puoi scappare lontano dalle bombe, ma non puoi estirparla dal tuo cuore, non puoi non pensare a chi sotto quelle bombe continua a incontrare la morte in un appuntamento macabro deciso in qualche ufficio del Cremlino. Così anche quando l’ennesima strage compiuta dalla Russia di Putin, una strage vigliacca perché ha ucciso 34 persone che stavano andando in chiesa a pregare nella Domenica delle Palme, sai che non puoi nemmeno permetterti di piangere. Non sarebbe giusto. Le lacrime possono concedersele chi è lì, a contare i cadaveri, a cercare di seppellirli, a consolare figli senza madri e padri senza più figli, a portare un thé caldo a chi deve ingoiare la disperazione per andare avanti in qualche modo.
"Perché non posso permettermi di piangere"
E allora ti chiedi cosa puoi fare per la tua gente, per il tuo popolo, per i tuoi cari che non vedi da anni e l’unica cosa che ti sembra accettabile ha il suono di una canzone, le parole di una poesia, il sorriso di chi spera. Anna Flame da tre anni, da quando è scappata dalla sua Ucraina e si è stabilita a Cagliari dove continua a cantare e a fare la sua musica, conosce molto bene le contraddizioni della guerra perché le vive sulla sua pelle. Ha un sorriso gentile ma la voce incerta quando si racconta e cerca di mettere a fuoco i pensieri. E quell’incertezza non è soltanto dovuta al fatto che si sta esprimendo in una lingua che non è la sua. Cerca di scegliere bene le parole, per far uscire dalla sua bocca solo quei sentimenti capaci di rispettare il dolore della sua gente: “Quando parlo, penso a loro che sono in Ucraina e poi ascolteranno ciò che dico”.
Anna, qual è stato il tuo impatto con la guerra? Noi qui in Italia la vediamo tutti i giorni al telegiornale, ma viverla dal vivo è ben altra cosa.
“Quando la guerra è arrivata erano le cinque del mattino. Io vivevo a Odessa da sola. Non ho più i miei genitori e mia sorella con la sua famiglia sta a Kiev. Sentivo le bombe, vedevo tutti andare a comprare cibo nei supermercati, un fuggi fuggi generale. Tutti noi eravamo disorientati”.
Anche tu sei corsa a comprare da mangiare?
“No, io sono rimasta a casa a fare colazione. Non immaginavo ancora che la guerra sarebbe stata così grave e devastante. Mi ha chiamato mia sorella: era disperata all’idea di sapermi da sola. È stata lei a convincermi a scappare. Mi ripeteva: Devi scappare subito. Io non volevo andarmene, non mi sembrava giusto rispetto ai miei cari che invece rimanevano lì sotto le bombe. Ma lei alla fine mi ha convinto. Mi ha detto che era meglio anche per lei se io andavo via perché la preoccupazione per me sarebbe stato un dolore in più. In quel momento ho capito che quando c’è una guerra ognuno pensa alla propria esistenza. Ci si sente soli ma anche responsabili perché non puoi gravare sugli altri”.
Com’è stata la fuga?
“Ho messo tutta la mia vita in una valigia. Ho cercato di portarmi vestiti e scarpe comode, qualche foto, poco altro. La guerra era cominciata da una settimana quando sono andata via”.
Perché se è venuta proprio a Cagliari?
“Ho un’amica che vive qui e l’ho chiamata. Le ho chiesto se potevo venire da lei. Mi a risposto ”certo”. Nella diaspora ucraina che è in atto ci si aiuta tutti a vicenda. Siamo sparsi un po’ in tutto il mondo, Canada, Stati Uniti, Europa ma c’è una rete che ci unisce".
Da tre anni vivi a Cagliari. Com’è stato l’impatto?
"Buono. Ho visto la bellezza di questa l'isola, la natura, la gente: Mi sono resa conto che la cultura sarda è molto forte, perché voi la proteggete, portate avanti le vostre tradizioni”. L’hai trovata simile a quella ucraina? “Sì, molto. Perché anche da noi ora sta succedendo ciò che accade in Sardegna. La gente ora parla ucraino, ha rispolverato i vestiti tradizionali, la nostra musica.
Da tre anni vivi a Cagliari. Com’è stato l’impatto?
“Buono. Ho visto la bellezza di questa l'isola, la natura, la gente: Mi sono resa conto che la cultura sarda è molto forte, perché voi la proteggete, portate avanti le vostre tradizioni”.
L’hai trovata simile a quella ucraina?
“Sì, molto. Perché anche da noi ora sta succedendo ciò che accade in Sardegna da sempre. La gente ora parla ucraino, ha rispolverato i vestiti tradizionali, la nostra musica. È come un richiamo alla propria identità”.
Di certo è una reazione al fatto che l'identità della nazione ucraina, del popolo ucraino sia stata messa in discussione da Putin e dall’invasione da parte della Russia.
“Sì, esatto. Prima non ci si badava. Ora invece sottolineiamo le differenze per far percepire la nostra identità”.
Tu a Odessa facevi la cantante. Qui a Cagliari stai riuscendo a portare avanti il discorso della musica?
“Non posso vivere senza la musica. Appena arrivata qui mi sono chiesta che cosa potessi fare e la risposta è stata proprio di continuare a portare avanti la mia musica, ben sapendo che avrei trovato tante difficoltà, a cominciare dalla lingua. Non canto solo per me ma per la mia gente. Mi sono chiesta cosa potessi fare per loro e credo che la musica e la poesia nutrano le anime. In questo modo sento che li aiuto. E qui in Sardegna ho fatto diversi concerti. Ho studiato canto jazz e mi sono esibita in alcuni locali".
Qual è la tua reazione quando senti le notizie del telegiornale? Quando capita come è successo qualche giorno fa una strage di civili ucraini?
“Ora sono riuscita a trovare un equilibrio emotivo. Il nostro mondo, la nostra situazione purtroppo adesso è questa. Non peno a me ma alla mia gente e quindi mi dico che devo essere forte per loro. In queste situazioni non posso permettermi di piangere perché così non aiuto nessuno, nemmeno me stessa. Così scrivo canzoni e poesie e prego Dio”.
Si parla tanto di pace. Tu ci credi che per l’Ucraina possa finalmente arrivare una pace duratura e giusta?
”Sì, ci credo. Ho molta fiducia nella nostra nazione e nella nostra gente. E sono davvero tanto orgogliosa di come siamo riusciti a rimanere uniti, forti e coraggiosi. In tutto il mondo gli ucraini che, come me sono dovuti andare via, lavorano per la pace che inizia prima di tutto dentro noi stessi”.
Come sta tua sorella? Cosa fa a Kiev?
“Ci sentiamo continuamente. Lei è volontaria e ogni giorno aiuta le persone e gli animali in difficoltà. Aiuta i soldati con cose semplici che però mancano. Anche una tisana, qualche vitamina, un po’ di frutta di secca, alcuni medicinali”.
Quando la guerra, speriamo il prima possibile, sarà finita pensi di tornare a vivere in Ucraina?
“Di sicuro tornerò in Ucraina a salutare la mia famiglia. Mi mancano tanto: sono tre anni che non ci vediamo. Ma poi non penso di restare lì a vivere. Fin da quando ero bambina ho sempre amato viaggiare. Mio padre era un musicista e ha fatto il giro del mondo per ben tre volte. Metà della mia famiglia Tante persone della mia famiglia sono state artiste. Io ho vissuto anche cinque anni in Cina”.
Mi piacerebbe che tu accennassi una canzone che ti è particolarmente cara e mi dicessi perché.
“Vi canto un brano che ha scritto anni fa mio padre quando la sua mamma è morta ma lui la sentiva comunque vicina”.