La storia di Amyna e Fatima vittime di mutilazione: 2mila le ragazze operate in Italia dopo essere state infibulate
È importante informare le donne infibulate della gratuità dell'intervento che, in tutti gli ospedali italiani, è a carico del servizio sanitario nazionale
L’infibulazione è una pratica rituale cruenta tipica delle zone tribali soprattutto dell’Africa. È una tortura per molte bambine ma non è una condanna definitiva, è bene ricordarlo proprio oggi, nella giornata mondiale contro le mutilazioni sessuali, in cui possiamo raccontare il caso di una bambina che ha subito la pratica in Somalia e che impiegava 20 minuti a urinare, o quella di Fatima che ha dovuto chiedere il permesso di sua suocera per affrontare l’intervento chirurgico che ha restituito un po’ di normalità alla sua vita.
Punita per le lunghe assenze in bagno
La storia di Amyna, otto anni, è emblematica di ciò che succede in Italia anche se le pratica è proibita. Nel nostro paese, infatti, non solo vengono praticati interventi clandestini, ma chi è stata vittima di mutilazione genitale all’estero capita che spesso finisca all’ospedale. Proprio come è successo alla piccola somala ora residente in una città del Nord Italia. Amyna era stata inconsapevolmente punita dalla sua maestra con due note sul registro perché quando andava in bagno impiegava 20 minuti per urinare visto che doveva farla goccia a goccia. La piccola ha subito l'infibulazione in Somalia ma solo quando figlia e madre, anche lei vittima di mutilazione, hanno spiegato alla preside il motivo delle lunghe assenze in bagno, sono state messe entrambe in contatto con una struttura sanitaria che ha restituito loro un completo recupero urinario, ginecologico e sessuale.
Fatima, il marito e la suocera
La vicenda di Fatima la racconta invece il dottor Massimiliano Brambilla, chirurgo plastico del Sicpre, società italiana di chirurgia plastica ricostruttiva. Si tratta di "una ragazza egiziana, sposata con Mohamed. Ha 24 anni ed è stata infibulata quando ne aveva undici. La cicatrice le permetteva di avere rapporti sessuali, ma dolorosissimi. È stata visitata in un consultorio e l'hanno mandata da me per migliorare le cicatrici vulvari. I due arrivano nello studio medico insieme. Lui vende frutta e verdura e parla un italiano mediocre, ma si fa capire. Lei fa la casalinga e ha qualche problema di comunicazione in più, ma in inglese ci s'intende perfettamente. Spiego loro qual è il mio proposito, il valore della rigenerazione e le possibilità di migliorare la qualità delle cicatrici. Dopo un lungo mutismo, il marito risponde che l'autorizzazione deve darla sua madre, ossia la suocera della vittima". A quel punto il dottor Brambilla telefona, dal cellulare di Mohamed, alla donna che vive in Egitto. "In viva voce le spiego il problema, con parole semplici. E i benefici che la nuora potrebbe conseguire. Finalmente, dopo 30 minuti, arriva l'autorizzazione. E Fatima può essere operata".
Sono 88mila le vittime di mutilazioni in Italia
Sono tante le storie come quella di Amyna e di Fatima che oggi sono state raccontata da La Repubblica, e sono 88.000 le donne che vivono in Italia e che hanno subìto questa pratica (i dati sono della Università Bicocca di Milano). Di queste solamente duemila sono state operate e sono soprattutto donne in stato di gravidanza preoccupate per il parto. Soltanto in quel momento si sono rivolte agli ospedali dove hanno scoperto dell'intervento, che tra l’altro è gratuito, al quale avrebbero potuto sottoporsi per ricostruire il loro corpo mutilato.
L'iniziativa del Senato
In occasione della Giornata mondiale contro le mutilazioni genitali femminili, si tiene un incontro in Senato, organizzato da Francesco Stagno d'Alcontres, presidente della Sicpre e da Stefania de Fazio, ideatrice nel 2019 del Summit contro le mutilazioni. Lo scopo è informare le donne infibulate della gratuità dell'intervento che, in tutti gli ospedali italiani, è a carico del servizio sanitario nazionale. Lo ha previsto la legge Bonino, la numero 7 del 2006, anche se all'epoca come capo équipe non era contemplata la figura del chirurgo plastico, ma quella del ginecologo a coordinare le procedura in sala operatoria. La dottoressa Aurora Almadori, referente dell'area Mutilazioni genitali femminili della Sicpre, spiegherà le quattro tecniche di deinfibulazione e ricostruzione disponibili attraverso il lipofilling (ovvero il prelievo, da diversi punto del corpo, di piccole quantità di grasso, ricco di cellule staminali adulte, e il trasferimento dopo breve depurazione nelle cicatrici). Per Almadori è importante pure la scelta del linguaggio da usare con le donne che arrivano in ospedale. "Bisogna tranquillizzarle - spiega - e non metterle a disagio adoperando termini come mutilazione. Sappiamo che fare queste pratiche nei loro Paesi è tradizione . E le chiamiamo col loro nome: in Egitto, ad esempio, si dice tahara, che significa purificazione. Nell'approccio verso queste donne non dev'esserci giudizio, quando arrivano da noi sanno anche loro di aver subito una violazione dei diritti umani e che non c'è niente di male nel voler recuperare una parte importantissima del proprio corpo". Insomma l’infibulazione non è per forza per sempre.