Veronica Vitale, da vittima di bullismo ad artista e produttrice musicale: canto per chi è trasparente ma non invisibile
Attivista per i diritti dell’infanzia, per l’emancipazione femminile e per lo sviluppo sostenibile, si afferma nel 2010 con l'album di debutto in italiano, 'Nel mio bosco Reale'. Oggi con 'Transparent' propone un canto di rinascita e difesa contro ogni forma di bullismo e di autolesionismo
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Veronica Vitale è come un profeta che torna in patria dopo avere fatto proseliti Oltreoceano. Cantautrice e produttrice musicale d’avanguardia che si è affermata negli Stati Uniti, torna in Italia dopo anni e dal 24 settembre è in radio e sulle piattaforme streaming e in digital download con “Transparent”, il suo nuovo brano che è un canto di rinascita e difesa contro ogni forma di bullismo e di autolesionismo. “Sono stata vittima di bullismo a undici anni a scuola: frequentavo la prima media e sono stata costretta a cambiare istituto. Oggi si usano comunemente parole come stalking e bullismo ma nel 2000 non c’era una parola così precisa per nominare cosa mi stesse accadendo. In palestra mi riempivano di pallonate, mi denigravano per i miei occhiali o per la mia ‘respirazione pesante’. È stato un periodo difficile ma dall’oscurità possiamo sempre rinascere”.
L’esperienza con questo tipo di prevaricazione non si è esaurita con l’infanzia però.
“No, infatti quando diventi un personaggio pubblico ti ritrovi esposta al cyberbullismo e diventi oggetto delle invettive sui social network di haters, troll e chiunque altro cerchi di distruggerti a prescindere, senza neanche conoscerti”.
Da qui l’ispirazione per il suo nuovo brano.
“Transparent è un brano che nasce per dare voce a chi non l’ha, per la rinascita da un disagio di chi è trasparente ma non invisibile. Ci tengo a dire che la musica è stata composta su una frequenza sonora di 417 hertz (oggi la musica è tutta a 440 hertz), conosciuta per lenire gli effetti di traumi emotivi. Ho voluto raccontare una storia, la mia, in cui, a prescindere dal contesto, chiunque potesse percepire l’idea di qualcuno che lotta per liberarsi. Perché tutti abbiamo bisogno di venire fuori da una situazione o circostanza contraddittoria, e di essere liberi e felici. La mia storia, per esempio, corre al contrario, dall’estero all’Italia. Sono italiana, ma tutta la mia esistenza d’artista ha preso vita all’estero, ovunque tranne che a casa mia. Di me, l’Italia non sa assolutamente niente. E quando rientro a casa, sono come un fantasma in mezzo a tanta gente invisibile”.
Da chi arrivò aiuto durante gli anni difficili dell’infanzia?
“Non dagli insegnanti, cui mi rivolsi subito: si creò un circolo vizioso per cui, non avendo voti abbastanza alti da essere presa in considerazione con rispetto, non potevo neanche essere presa in considerazione come vittima. Quando pensiamo ai carnefici, in genere immaginiamo che siano gli ultimi della classe, quelli con i voti peggiori o che stanno agli ultimi banchi. Invece spesso i bulli sono quelli con la faccia pulita”.
I classici cocchi dei professori.
“Sì, proprio i bambini più dolci, i primi della classe. In più a causa del bullismo io non andavo certo bene a scuola, ero molto silenziosa e non partecipavo. Così per gli insegnanti non ero l’allieva ideale, quella da difendere”.
Chi l'aiutò quindi?
“I miei genitori, che sono sempre stati dalla mia parte e i miei migliori amici. Avere dialogo con la propria famiglia è un’ancora di salvezza fondamentale. Quando si è vittime di bullismo, che lo si faccia con l’arte o ci si confronti con le istituzioni, è importante parlarne. Anche vent'anni dopo, perché a volte si realizza di essere stati vittima solo a posteriori. E allora, quando cresci, hai la responsabilità di parlare anche per chi non ha una voce in questo preciso momento. Io non sto combattendo una battaglia contro i miei fantasmi del passato, quelli li ho già messi a posto. Però la mia voce oggi può essere utile a un bambino di dieci anni che magari non sa cosa fare. Il messaggio che deve passare è che il bullismo si paga, è un crimine”.
Un messaggio importate soprattutto per i casi di donne che sono state vittime di abusi e denunciano magari dopo anni. L’obiezione è sempre la stessa: “Ma perché parli solo adesso?”
“Noi donne siamo spesso state vittime e per questo, quando dobbiamo alzarci in piedi per parlare, è necessario che abbiamo le spalle forti. Perché siamo tuttora vittime di molti stereotipi e ancora oggi per tanti le donne non dovrebbero avere voce in capitolo su tanti settori. Io che sono un’imprenditrice ho a che fare con un mondo prettamente maschile. Il mio è il campo discografico, negli ultimi quattro anni ho lavorato negli Usa come produttore esecutivo discografico e in tutte le riunioni mi confronto esclusivamente con uomini, anche se qualcosa comincia lentamente a cambiare”.
Che consiglio si sente di dare a chi lavora nell’ambito delle istituzioni per aiutare i bambini vittima di bullismo?
“Il mio messaggio va soprattutto agli insegnanti, perché spesso quando si vede un bambino silenzioso, lo si addita come l’ultimo. Io vorrei dire agli insegnanti, o a chi ha responsabilità formative, che spesso il genio non è il primo dell’elenco ma l’ultimo. Bisogna vedere chi è l’ultimo della classe e perché: potrebbe avere delle caratteristiche speciali ed essere introverso solo perché non riesce a comunicarle. Alle vittime invece vorrei ricordare che il mondo reale non è quello dei social in cui vengono scherniti. La vita reale siete voi e chi scegliete di essere”.