Trovata carbonizzata la professoressa transgender che annunciò il suo suicidio sul web: 'Qui finisce tutto'
La procura ha disposto l'esame del Dna del corpo trovato nel suo camper ma ci sono pochi dubbi sull’identità di Cleo Bianco, che fino al 2015 all’anagrafe era Luca
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Sarà il risultato dell'esame sul Dna a chiudere formalmente la triste storia di Cloe Bianco. Ma l'ex docente transgender la propria fine l'aveva scritta e progettata da tempo, e alla fine l’ha realizzata con il fuoco appiccato al camper in cui viveva. Lasciando addirittura in un blog le proprie volontà testamentarie, e descrivendo, come in una poesia triste, i momenti che l'avrebbero portata al suicidio. Il suo cadavere carbonizzato - manca solo l'esito del test genetico - è stato ritrovato sabato scorso in un furgone incendiato a lato della strada regionale tra Auronzo e Misurina (Belluno). Secondo quanto ricostruito, è stata la stessa Cloe a dar fuoco al veicolo che usava come abitazione, per togliersi la vita. L’epilogo di un'esistenza fatta di sofferenza e pregiudizi, che l'avevano allontanata mano a mano dalle relazioni sociali, dal lavoro, da tutto.
L’addio al mondo
L'intenzione del suicidio l'aveva anticipata nel suo blog il 10 giugno. 'Subito dopo la pubblicazione di questo comunicato - si legge nel sito web - porrò in essere la mia autochiria, ancor più definibile come la mia libera morte. In quest'ultimo giorno ho festeggiato con un pasto sfizioso e ottimi nettari di Bacco, gustando per l'ultima volta vini e cibi che mi piacciono. Questa semplice festa della fine della mia vita è stata accompagnata dall'ascolto di buona musica nella mia piccola casa con le ruote, dove ora rimarrò. Ciò è il modo più aulico per vivere al meglio la mia vita e concluderla con lo stesso stile. Qui finisce tutto'.
Da Luca a Cloe
Nel sito aveva riprodotto le immagini del testamento e delle proprie disposizioni anticipate di trattamento. Cloe sfogava da tempo sulla rete le sue inquietudini, denunciando i 'tentativi di annientamento' della sua persona, la sofferenza che le causava chi le stava intorno. Cloe, 50 anni, era un’insegnante tecnica all'istituto di Agraria 'Scarpa-Mattei' di San Donà di Piave. Nel 2015, quando all'anagrafe era ancora registrata con il nome di Luca Bianco, un giorno entrò in classe vestita in abiti femminili, mostrandosi ai suoi allievi per come veramente si sentiva. 'Cari ragazzi da oggi mi chiamerete Cloe' aveva esordito. Si era presentata in minigonna, unghie laccate, caschetto biondo-cenere, ombretto alle palpebre, destando lo stupore degli studenti.
La rivelazione agli studenti e il rifiuto
Pare che sia stata una ragazza in particolare a dirsi sconvolta da quella rilevazione: uscì piangendo dall'aula e una volta a casa riferì tutto al padre, che scrisse direttamente all'assessore regionale all'istruzione Elena Donazzan - la quale in seguito fu solidale col genitore - raccontando di quella 'carnevalata'. 'Ma davvero - aggiunse - la scuola si è ridotta così?'. Cloe uscì sconfitta anche in quell'occasione. Il presidente del tribunale del lavoro di Venezia, pur 'senza voler criticare una 'legittima scelta identitaria', sognata da Bianco dall'età' di 5 anni', stabilì che la sospensione di tre giorni inflitta dalla scuola al prof 'era stata giusta' perché rivelarsi in così breve tempo, senza preparare adeguatamente le scolaresche, non era stato 'responsabile e corretto'. Per Cloe fu un evento insuperabile e l’esito di questo rifiuto è scritto nel suo suicidio.