Saviano e le donne 'reali': 'La cellulite è un inno alla libertà'

Lo scrittore esalta il gesto provocatorio di Ashley Graham che ha postato una foto in bici: 'Smettiamola di giudicarci e accogliamo ciò che la società definisce brutto'

di Cinzia Marongiu

'Bisognerebbe diseducare alla bellezza, a questa bellezza dai fianchi scarni, dalle pance piatte, dal seno alto, perfetto. Nella bellezza bisognerebbe essere scostumati. Bisognerebbe capirla, cercarla, ammirarla, d’istinto confondersi e non rispondere più ai parametri”: ancora una volta Roberto Saviano colpisce nel segno e si dimostra acuto osservatore della realtà che ci circonda, non necessariamente criminale. Le sue parole, pubblicate sul suo seguitissimo blog e riprese sui social, partono dall’immagine che Ashley Graham, una delle modelle curvy più belle e famose del mondo, ha postato sul suo account Twitter.

 Quella foto in bicicletta è un inno alla libertà - “La foto in bicicletta che Ashley Graham, modella curvy, ha pubblicato su Twitter, nel mondo americano è esplosa come una provocazione: mostrare la cellulite è sembrato un inno alla libertà”, continua Saviano. “La foto era accompagnata da questo testo: “A little cellulite never hurt nobody... Stop judging yourself, embrace the things that society has called 'ugly'». Ovvero:  «Un po' di cellulite non ha mai fatto male a nessuno... Smetti di giudicarti, accogli ciò che la società definisce 'brutto. In una frase semplice, una rivoluzione epocale. E mi domando: ma quand'è che abbiamo iniziato a misurare e a disciplinare la bellezza? Quando abbiamo deciso quale bellezza è riproducibile e quale non lo è?”.

Prendiamo esempio da Courbet - Parole che suonano come musica alle orecchie di tantissime donne stufe di sentirsi soppesate un “tanto al chilo” e giudicate a suon di centimetri. Schiave spesso incolpevoli di una società che ti vuole sempre bella, in forma e vincente. Conclude Saviano: “In fondo l'arte (osservate i due dipinti di Courbet accanto alla foto di Ashley Graham) ci educa a una bellezza reale, quella delle madri e di tutte le donne, una bellezza che non presuppone, per esistere, la mortificazione del corpo e il disagio costante di non essere come un canone (disumano) impone”. Insomma, qualche secolo fa gli artisti ci erano già arrivati.