Sara Giada Gerini: “Ci fanno pagare il canone Rai ma poi non ci offrono i servizi”
La sua campagna 'Facciamoci sentire' per i diritti dei sordi è partita dai social ma è arrivata dappertutto: “I sottotitoli h24 sono un nostro diritto”
In un paese in cui spesso non è facile farsi ascoltare se non si urla, c’è una donna che si esprime inesorabilmente grazie alla forza dei suoi contenuti. Sara Giada Gerini è sorda dalla nascita ma possiede un’indomita volontà di comunicare. Dal suo profilo facebook ha dato origine alla campagna “Facciamoci sentire” che punta ad ottenere, fra le altre cose, i sottotitoli su tutti i programmi Rai 24 ore su 24. Sara ha un grande seguito sui social e in tanti si sono appassionati alle sue istanze scoprendo che sui sordi, noi udenti, abbiamo spesso ingiustificati pregiudizi.
Insieme a lei oggi cerchiamo di smontare alcuni di questi stereotipi e di capire quale disagio ha dato origine a “Facciamoci sentire”.
“La campagna è nata nel momento in cui mi è arrivata la bolletta elettrica con incorporato il canone della tv. Insomma mi si chiedeva di pagare per un’emittente pubblica che da sempre non ha un servizio di sottotitolazione efficiente, non è in sincrono e tantomeno fedele. Chi non sente non può rincorrere i programmi che hanno i sottotitoli solo in certe ore”.
Insomma se lo Stato vi chiede di pagare il canone come lo fanno tutti gli altri utenti (che usufruiscono di ogni servizio Rai), vi aspettate di avere un’offerta che valga quanto pagate?
“Per questo è nato l'hashtag #FacciamociSentire, paradosso per i sordi che non sentono farsi sentire; è uno slogan provocatorio. Ho così lanciato il mio video che ha ottenuto più di 27 milioni di visualizzazioni e 800 mila condivisioni”.
Lei sostiene che i sottotitoli nei programmi verrebbero incontro pure a chi non è sordo ma ha altri problemi.
“I sottotitoli sono uno strumento di comunicazione globale, per tutti. Le scritte contengono un'informazione base che possono essere uno strumento anche per gli stranieri che cercano di imparare la nostra lingua o per gli anziani che nel tempo hanno maturato un deficit che non vorrebbero mostrare. È un modo per ‘leggere le notizie’, ad esempio, per chi lavora e non vuole disturbare il suo collega nei momenti di pausa. Ma anche per chi viaggia in treno, aereo e metro che potrebbe leggere senza disturbare gli altri”.
La campagna sta ottenendo buoni risultati?
“Si, pian piano cresce, chiaramente è una questione culturale perché pochi sanno esattamente cosa è la sordità. Spesso viene scambiata per ‘distrazione' o ottusità’ e il suo racconto richiede incontri in live. Io viaggio spesso per portare la mia testimonianza in vari contesti sociali, in congressi, conferenze e scuole. In tanti stanno scoprendo il valore della mia testimonianza”.
L’integrazione può essere una strada lunga: che suggerimento può dare alle istituzioni nazionali o locali?
“Ripeto, è una questione di cultura, di informazione base e necessita che non ci si fermi al primo sordo che capita perché ogni sordo ha le sue esigenze. Per capirci: si continua a pensare che la lingua dei segni sia la lingua di tutti i sordi ma è sbagliato. Appartiene ad una comunità e non ha nulla a che fare con i sottotitoli e con la mia campagna. Esistono sordi che parlano la loro lingua madre, ossia l'italiano. Alle istituzioni chiederei di rivedere il decreto ministeriale e gli interventi sull' invalidità. Manca un adeguato supporto economico, agevolazioni e quant'altro serve per la completa integrazione”.
Lei insiste spesso sulla prevenzione nei neonati. Perché è così importante?
“Perché attraverso lo screening neonatale si può intervenire subito per adottare i giusti strumenti, protesi e impianti e poi subito logopedia e riabilitazione del bambino sordo. Ai miei tempi, anni 80, i miei genitori hanno avuto una diagnosi tardi, a 5 anni, e anche appunto per mancanza di questi strumenti ho dovuto fare un percorso difficile di logopedia. Ora i bambini sordi fin nei primi anni riescono a parlare ed integrarsi con meno difficoltà”.
“Facciamoci sentire” è uno slogan che andrebbe bene per qualsiasi diritto calpestato. Ha avuto solidarietà da parte di altri gruppi discriminati e che lottano per il proprio riconoscimento?
“Si, ci sono tantissime associazioni che chiedono collaborazione, in fin dei conti si tratta della difesa del diritto della persona, di ogni persona che vuole essere integrata e uguale agli altri. La sordità non è una malattia contagiosa, è una condizione che richiede piccoli e grandi accorgimenti. Un paese civile cresce se risolve questi problemi”.