Maria Badalamenti: “Mio padre ucciso solo per il suo cognome ma io dalla Sicilia non vado via”

Autrice del libro “Sono nata Badalamenti”, racconta cosa significhi crescere in una famiglia legata al clan pur essendo estranei alla mafia

Maria Badalamenti Mio padre ucciso solo per il suo cognome ma io dalla Sicilia non vado via
di Redazione

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Nascere e crescere in terra di mafia col cognome di un clan responsabile di morte e malaffare, è un peso che potrebbe schiacciare chiunque. Non Maria Badalamenti, nipote di don Tano, che ha deciso di restare a vivere nella sua terra e di essere fonte di riscatto per quel cognome che fu anche quello di suo padre, della mafia vittima innocente.

Il clan

“Ho scoperto la mafia una mattina d’estate. L’ho conosciuta dall’interno perché ho conosciuto don Tano e ho disprezzato tutti fin da piccola. Erano diversi da noi, erano volgari. Menti astute come quella di don Tano che aveva attorno un’aura di rispetto e ammirazione”, racconta Maria intervistata da La Repubblica. All’epoca aveva sei anni, suo padre Silvio era il nipote (figlio di un fratello) di Gaetano Badalamenti, il capo della Cupola che ordinò la morte del giovane Peppino Impastato che a Cinisi (Palermo) si opponeva ai boss. “Ricordo un pranzo di famiglia in cui questo uomo era ossequiato come un re. Dopo il pasto gli uomini giocarono a tirarsi gavettoni e uno colpì mio padre fra le risate generali. Io avevo una tazzina di caffè in mano e per reazione la lanciai addosso a don Tano. Ho sempre disprezzato lui e tutto ciò che rappresenta', dice.

Il libro in memoria di suo padre

Da 40 anni in Sicilia il cognome Badalamenti vuol dire mafia. Don Tano gestiva gli affari criminali e oggi è una Badalamenti a puntare l’indice contro ciò che resta di quel clan. Maria ha deciso di scrivere un libro che si intitola “Sono nata Badalamenti” (Dm edizioni) per ridare giustizia a suo padre, che fu ucciso nel 1983 mentre andava al lavoro: 'Lui non era come gli altri della famiglia. Mio padre viveva onestamente del suo lavoro'. Silvio Badalamenti era il direttore delle esattorie di Marsala e fu ucciso il 2 giugno 1993 mentre andava al lavoro.

Terra bruciata

Dopo la fuga e l'arresto in Spagna di Gaetano Badalamenti (nel 1984) i «corleonesi» gli fecero terra bruciata, sterminandogli 14 parenti diretti e molti dei suoi fedelissimi. Tra i familiari uccisi per vendetta c'era anche il padre di Maria, del tutto estraneo agli affari di mafia, che pagò con la vita il solo fatto di chiamarsi Badalamenti. Aveva 38 anni ed era appena uscita di casa per andare al lavoro.

L’arresto e il colloqui con Falcone

Undici mesi prima di essere ammazzato, Silvio Badalamenti era stato arrestato nell'ambito di un'inchiesta su un traffico internazionale di stupefacenti seguita da Giovanni Falcone ma era stato successivamente scarcerato per mancanza di indizi. “Falcone lo liberò subito dopo averlo sentito e gli disse di andarsene dalla Sicilia. Ma lui non volle farlo perché viveva onestamente”. E neanche sua figlia Maria vuole farlo: “Mio padre decise di rimanere in Sicilia nonostante in quegli anni si uccidesse chiunque portasse il cognome Badalamenti. E questa è una scelta che io voglio ribadire, perché è un ‘no’, seppure vissuto nell’intimità della famiglia, che lui disse alla mafia. Al ricatto dei Corleonesi che lo volevano fuggiasco nonostante fosse estraneo agli affari mafiosi. Ed è un 'no' che disse ai Badalamenti che gli chiedevano favori e lo volevano coinvolgere nei loro affari”.

I Badalamenti oggi

Secondo Maria oggi i Badalamenti hanno ancora un grande potere sociale e criminale. Il capo clan Gaetano è morto in un carcere del Massachusetts nel 2004 all'età di 80 anni “ma i suoi due figli sono liberi, nessuno ne parla, nessuno dice nulla e oggi c’è un appoggio sociale che fino a 5 anni fa non c’era”.

12/01/2018
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