Le donne costrette a ingrassare fino a 30 chili per diventare mogli perfette: 'Ma noi siamo come loro'
Quando la vedi accostare la bocca a quei recipienti colmi di latte e deglutire controvoglia sotto lo sguardo vigile della madre e della nonna, è inevitabile sentire la gola e lo stomaco chiudersi. Lo stesso quando la osservi mentre a malincuore maneggia il couscous prima di ficcarselo in bocca a fatica. Una donna messa all’ingrasso in vista del matrimonio, costretta a ingerire fino a dieci pasti al giorno pur di prendere peso, pur di ingrassare almeno 20 o anche 30 chili. Quelli cioè considerati ottimali dalla famiglia del promesso sposo, come impongono l’ideale di bellezza femminile e lo status sociale di famiglia benestante che si vuole esibire come tradizione comanda. Questa pratica si chiama “gavage”, è diffusa ancora oggi in Mauritania e in certe zone del Niger e si esercita su “Il corpo della sposa”, proprio come racconta il titolo del film di straordinario impatto girato da Michela Occhipinti. La regista anche di reportage e documentari sta accompagnando la sua creatura in varie presentazioni in giro per l’Italia, dopo aver riscosso un grande successo all’anteprima mondiale alla Berlinale e aver concorso, unico titolo italiano, al Tribeca Film Festival.
Michela, com’è venuta a conoscenza di questa pratica dell’ingrasso forzato in vista del matrimonio? E quanto è diffusa?
“È difficile avere dati perché quello della Mauritania è un popolo che nasce nomade. La stessa capitale Nouakchott esiste appena da 65 anni. In città almeno il 20 per cento pratica il gavage, ma nei villaggi la pratica è più diffusa. Poi, bisogna tener conto che esistono diverse forme di gavage. A quello tradizionale, si è aggiunto quello più moderno con le pillole per ingrassare. Partecipare a un wengala, così come vengono chiamate queste merende collettive tra le donne che devono prendere peso, è diventato un canone estetico. Si assiste a questa incredibile commistione di vecchio e nuovo, di tradizione e modernità: ci sono donne che lavorano, che studiano, che hanno lo smartphone e che hanno accesso a questi modelli estetici. È una società molto variegata”.
Come le è venuto in mente di affrontare questa tema?
“È successo nel 2011 mentre davanti allo specchio notavo le prime rughe e ho scoperto che questo fatto mi creava un disagio. Da lì si è innescata una riflessione sul tempo che passa e l’estetica e i sono resa conto del divario che passa tra la libertà reale e quella che noi stesse percepiamo perché ci sentiamo sempre più libere di quanto siamo in realtà. Il fatto è che non ci rendiamo conto dei preconcetti e dei pregiudizi da cui siamo bombardate continuamente. D’altra parte il corpo delle donne è sempre stato sottoposto a regole e canoni estetici. Vi ricordate le donne formose con la cellulite in evidenza di Rubens? E la donna clessidra con la vita sottile e fianchi e seno prorompenti degli anni Cinquanta? E la donna grissino degli Anni Settanta? E quella magra ma con il seno grande degli anni Ottanta? Chi è che detta queste regole? Ecco, di fronte a questa riflessione, o provato un malessere davvero forte. Quando mi sono imbattuta in un trafiletto di giornale che parlava del “gavage” mi sono resa conto che noi e loro facciamo la stessa cosa. Vorrei fosse chiaro che il mio film non rappresenta un giudizio critico verso quella cultura ma uno spunto per parlare di tutte le società”.
Trova che noi italiane così come le donne occidentali in genere siamo sottoposte allo stesso tipo di condizionamenti estetici?
“Assolutamente sì. Viviamo in una società che ti dice continuamente che devi essere più magra, più grassa, più abbronzata, più bianca, più liscia, più morbida. Se quello dell’ingrasso è un percorso di mortificazione di se stessa e del proprio corpo, trovo altrettanto violento farsi ficcare degli aghi nelle cosce o tagliarsi pezzi di corpo o infilarsi protesi nelle guance o nelle natiche o farsi tagliare e tirare la pelle del viso. Noi pensiamo di fare delle scelte autonome ma in realtà siamo totalmente condizionate dal bombardamento dei media. Ciò che cambia è solo la violenza che nella nostra società non è percepita in modo diretto come invece accade in Mauritania”.
In quel caso però sono le madri e le nonne a metterle all’ingrasso?
“Sì, è vero e il latte, che è l’alimento primario per eccellenza, diventa una tortura imposta a litri. Ma anche noi italiane subiamo condizionamenti fin da quando siamo bambine. O che sono madre di una bambina molto piccola scopro che già nell’infanzia noi adulti inculchiamo concetti come “cicciotello” ai nostri bambini e gli insegniamo a fare riferimento alle forme dei corpi”.
Molte donne potrebbero rispondere che si fanno belle per piacersi, per se stesse.
“Sì, ci convinciamo che sia così. Ma in realtà non credo che una ragazza anoressica o bulimica si condizioni da sola e non sia piuttosto una persona più fragile che ha subito dei condizionamenti esterni”.
Come si è documentata prima di girare il film?
“Dal 2012 ho iniziato a fare ricerche e a recarmi in quel paese dove ho parlato con moltissime donne. Credo che il gavage esista da sempre. Serve a dimostrare che il capofamiglia fa vivere la sua famiglia in modo benestante e che uindi le donne della sua famiglia non devono far altro che tare sedute a mangiare e a ingrassare. Da ciò ch ho osservato, le famiglie più ricche non praticano questa usanza perché tutti conoscono il loro status. Lo fanno invece quelle della classe media. Tra l’altro il gavage viene anche imposto alle bambine perché ingrassando sviluppano prima. Ma ho solo sfiorato l’argomento nel mio film”.
Mi ha molto colpito la protagonista, Verida. Come l’ha scelta?
“Il suo nome nella lingua locale vuol dire “unica”. Mi ha colpito dalla prima volta che l’ho vista. Lei stessa ha subito il gavage a 16 anni prima di sposarsi. Poi ha divorziato e si è risposata andando anche a vivere per un certo periodo in Turchia”. Non aveva mai recitato, se non in una pubblicità, ma sogna di fare l’attrice”.